Come la legge sulla maternità non tutela mamma e bambino

Come la legge sulla maternità non tutela mamma e bambino

“Elena perché non scrivi che la maternità qui in Italia funziona uno schifo e non tutela affatto le donne che lavorano?”
 
“Mi piacerebbe avere un altro figlio, ma sono passati solo due anni dal primo e mi sa che se resto di nuovo incinta in qualche modo mi licenziano”.
 
I pensieri di due amiche credo siano gli stessi di tante tantissime altre mamme ed anche di non mamme.
 
 
Tengo subito a precisare che, come sempre, ciò che scrivo non può essere e non ha la pretesa di essere condiviso da tutti. Cerco di racchiudere in una modesta manciata di parole le esperienze della maggior parte delle persone con cui mi trovo a confrontarmi, a chiacchierare, ad aiutare nel mio piccolo e per quanto riesco a fare.
 
Lo voglio ricordare: sono convinta che le reti di aiuto siano un’arma potentissima per combattere le emozioni negative e per moltiplicare quelle positive.
 

La maternità in Italia

 
In estrema sintesi (rimando per completezza al sito del girone infernale nominato Inps dove la questione è approfonditamente spiegata in lingua aliena). Nelle situazioni ordinarie in cui mamma e bimbo sono in salute per tutta la gravidanza, la mamma può astenersi dal lavoro due mesi prima della data presunta del parto e avrà un bonus fedeltà per l’astensione di altri tre mesi dopo il parto.
 
In alternativa, grazie alla super recente riforma per andare moltissimo incontro alle donne che lavorano, la mamma può continuare a lavorare più o meno finché non sentirà il primo vagito del bambino, segno della nascita, stando comodamente in ufficio. Come premio potrà allora usufruire di cinque mesi di astensione dopo il parto.
 
Poco importa che le ultime settimane di gravidanza siano una costellazione di notti in bianco, di corse a cercare un bagno per fare pipì ogni ottodieci minuti, di sbalzi d’umore, di paure ed ansie, di affanno nel salire le scale, di esami, di fragilità emotiva e fisica.
 
Per chi non ci aveva mai pensato ebbene sì, un pancione che contiene un mini umano in costante crescita non è un dettaglio completamente trascurabile per quelle che se lo portano in giro e per chi sta loro accanto.
 
Esiste poi il congedo facoltativo. La bacchetta magica che consente di proseguire l’astensione dal lavoro dopo i tre mesi della creatura, per altri sei.
C’è forse una fregatura? Certamente.
Lo stipendio della mamma viene altrettanto magicamente assottigliato fino al trenta percento. Con la stessa delicatezza di un Alohomora lanciato da Hermione già nel primo Harry Potter per aprire una serratura. Un vero incantesimo.
Del resto non ci sono spese per mantenere un nuovo componente della famiglia. Sciocco chi lo pensa. Anzi, quasi quasi si risparmia quindi mica serve lo stipendio pieno.
 
Come dici? Tu che leggi sei una libera professionista e non hai nemmeno questa possibilità perché ad un certo punto se non lavori non guadagni? Ah beh, un po’ te lo sei cercata, lo Stato non può tutelare tutte tutte le categorie.
 
Colpa delle donne che vogliono essere madri e pure proseguire nel portare avanti la carriera.
E poi appunto si tratta di una scelta facoltativa, cioè fatti tuoi.
 
Per banalizzare la faccenda, un neonato di tre mesi viene quindi considerato praticamente autonomo e non bisognoso della mamma. Nella foto dell’anteprima potete vedere i piedi di mia figlia di tre mesi. Misurano sette centimetri e mezzo e lei non sa nemmeno ancora quasi di averli e a che cosa servano. Però attenzione: le manine le ha già scoperte settimane fa, quindi in effetti perché mi preoccupo tanto.
Tra l’altro ora c’è nell’aria questa nuova proposta. Il Governo sta studiando la possibilità di estendere il congedo obbligatorio per la nascita da cinque a sei mesi totali prevedendo che il papà ne utilizzi il 20%. Un mese.
 
Caspita! Grazie!
 
 
 
 
In Italia siamo ancora distanti quanto la Terra e Plutone dall’avere una riforma che tuteli, incoraggi e protegga – perché sì, c’è bisogno di protezione – le donne mamme con un’occupazione, che impedisca ai datori di lavoro di approfittarsene e che renda la società un luogo accogliente per i nuovi nati.
Una vera politica di conciliazione lavoro-famiglia ancora non esiste.
 

I bambini hanno bisogno della mamma

 
Non è una frase di comodo, non è una banalità, non è una leggenda.
Il corpo di una donna impiega nove mesi per creare un mini umano, mentre si pretende che tre mesi, cinque mesi, sei mesi di vita, siano sufficienti a rendere un bambino autonomo e non più estremamente dipendente dalla mamma o dalla sua figura genitoriale di riferimento.
Un bambino come ogni cucciolo per crescere, ha bisogno di una mamma fisicamente e mentalmente presente, il più possibile serena e tranquilla.
Non di una mamma preoccupata, in ansia.
Le preoccupazioni e le ansie sono già parte di lei dal momento in cui sa di essere incinta, aumentano fino al parto, per non parlare dell’istante in cui torna a casa con la creaturina.
E questo nelle situazioni ordinarie in cui non ci sono complicazioni.
 
Un bambino ha bisogno di contatto, di sorrisi, di cure, di attenzioni. Ha bisogno di farsi conoscere e capire, di avere fiducia.
Un bambino ha bisogno di presenza fisica costante, di sguardi, di baci, di coccole, di essere cullato, di sentire canzoncine e parole dolci. A tre mesi mangia ancora ogni tre ore e chi può allatta. Chi non può prepara biberon. Per farsi capire piange e in alcuni giorni piange spesso, perché questo è il suo modo di comunicare. Chi può capirlo e consolarlo è la mamma.
Anche la mamma ha bisogno del suo bambino (ma anche di ricominciare a volte a dormire, a mangiare regolarmente, a capire come gira di nuovo il mondo). Lei nasce insieme a lui.
 
Crescere al meglio un bambino ponendo delle basi solide per l’adulto che diventerà e tutelare una mamma non è una cosa superflua, non è un di più. È un investimento sul futuro della società in cui viviamo. Una mamma ed un bambino il più possibile felici, tranquilli, sereni, saranno in futuro una spesa minore per la collettività ed una risorsa maggiore.
 
Il costante aumento di neo mamme costrette a dimettersi dovrebbe far riflettere.
 
 
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

Clicca QUI per sapere cosa posso fare per te!

Il miglior regalo di Natale che ci si possa fare: prendersi del tempo

Il miglior regalo di Natale che ci si possa fare: prendersi del tempo

Volevo scrivere una accurata riflessione su come funziona (male) la maternità in Italia.
Come è cambiata l’obbligatoria con la nuova flessibilità, la facoltativa e cosa succede invece per chi è libera professionista. Quali diritti (non) ci sono. Avevo raccolto diverse esperienze da pubblicare e selezionato i siti informativi più autorevoli in merito.

Poi è successa una cosa.

Così ho deciso di cambiare programma, mettere per un momento da parte tutto e scrivere con il cuore.

È successo che mi è comparso davanti agli occhi un articolo su come ottimizzare il tempo dell’allattamento (o del biberon, a seconda delle situazioni) nelle prime fasi di vita del bambino e rientrare presto al lavoro.
In sintesi: subito dopo il parto, con una mano puoi nutrire la tua creaturina mentre con l’altra puoi essere operativa al pc rispondendo alle mail, creando progetti, stare al telefono con capo, colleghi e clienti.
Durante l’allattamento, uno dei momenti più delicati proprio nelle prime fasi di vita.

Avete capito bene?

Ciò che avrei voluto scrivere sulla maternità era proprio che ogni cosa va contro il prendersi del tempo per la cura di se’ e del proprio figlio. Ogni nuova normativa non va nella direzione della vera tutela della donna e mamma, ma nella direzione del lavorare il più possibile. Durante la gravidanza, dopo la gravidanza, durante il parto magari. Perché no, del resto per diverse ore le mani sono entrambe libere e qualche scema in senso buono (come me) finisce davvero per rispondere ad un paio di mail.

Prendersi del tempo, e parlo di quello che spetterebbe ad ogni neo mamma, in questa società è a volte considerata una colpa.
Attenzione: lo stesso discorso vale per ogni momento di fragilità della vita. Una malattia, un infortunio, un lutto, una delusione. Fragilità non solo del corpo, anche dell’anima.
Non è più permesso essere fragili e rallentare o addirittura fermarsi per un periodo.

A maggior ragione per chi è incinta e diventa mamma. Quando alla fine tutto va bene è un avvenimento bello, felice, quindi ancora di più è una colpa prendersi del tempo.

Bisogna fare, correre, andare, ricominciare.
È quasi impossibile rallentare quando cresci in un mondo che ti fa sentire immediatamente in difetto.
Durante la gravidanza, se in alcune giornate proprio non riuscivo ad essere produttiva, subito qualcuno mi ricordava che non avevo fatto niente e avrei invece avuto tempo.
La stessa cosa è successa più volte dopo il parto.

Come a me, a tantissime altre donne che so essersi trovate esattamente nella stessa situazione.

Portare avanti una gravidanza, partorire, crescere un neonato non è fare niente. È una cosa enorme. Meravigliosa, sì. Che richiede un impegno psicologico e fisico gigantesco.

Tornando a quell’articolo, e peccato non fosse firmato altrimenti avrei cercato di rintracciare chi lo ha scritto, allattare (al seno o con il biberon) non significa avere del tempo libero.
Qualunque mamma, con quella famosa mano libera, farà spesso qualcosa d’altro senza che nessuno debba suggerirlo, perché qualunque mamma si trova a fare anche cinque attività in contemporanea.
Anche lavorare quando una se la sente. Ma la scelta deve essere libera.

Ciò che ritengo profondamente sbagliato è che gli input esterni siano tutti verso il continuare a correre.
I bambini di oggi (e il motivo per cui ne nascono sempre meno è sotto il nostro naso) sono gli adulti di domani. Le basi che vengono messe dai genitori, o dalla famiglia in generale, nei primi giorni, mesi, anni di vita possono fare la differenza rispetto alla persona che crescerà.
La società dovrebbe insegnare che prendersi del tempo per accudire un bambino è fondamentale.
La società invece insegna che è meglio fare alla svelta, perché se ti fermi un attimo in più potresti ritrovarti senza un lavoro. E allora come la manterrai in futuro quella piccola persona?

Il mio augurio per questo Natale è rivolto a chiunque stia attraversando una fase di fragilità della propria vita: se puoi rallenta e prenditi del tempo. Un domani ti guarderai indietro e ti ringrazierai per averlo fatto.

Quando è stata l’ultima volta?

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Il percorso ad ostacoli per le donne e mamme tra lavoro, gravidanza, maternità: reinventarsi è possibile

Il percorso ad ostacoli per le donne e mamme tra lavoro, gravidanza, maternità: reinventarsi è possibile

Reinventarsi dopo aver attraversato quella giungla di ingiustizie professionali con cui tante donne si trovano a dover fare i conti durante o dopo una maternità.

La prolungata permanenza nella foresta di Jumanji, quel film anni Novanta con Robin Williams che si trova intrappolato in un diabolico gioco di ruolo, è un rigenerante soggiorno in una Spa in confronto a certe esperienze di donne e mamme.

Ritrovare la strada è però possibile. O meglio, accettare di non poter più proseguire quella vecchia e trovarne una nuova. Costruirla da zero, rimboccandosi le mani, facendosi forza, facendo rete.

“Woman power” non è solo uno slogan. Esiste, è un potere reale. Lo abbiamo tutte, solo che spesso ce ne dimentichiamo.

Del resto, c’è qualcosa che le donne non riescano a fare? Alice, quella del Paese delle Maraviglie, pensava a sei cose impossibili prima di fare colazione. E’ un ottimo esercizio, per ricordarsi che in realtà tutto è possibile.

Da un lato la condivisione delle esperienze negative ci fa sentire meno sole. Così anche tu capisci di non essere stata l’unica ad imbatterti in un campo minato ed inizi a farti sentire, ad alzare la voce in un mondo che ci vuole sempre più in silenzio.

Dall’altro, credo altrettanto fortemente nella divulgazione delle storie positive. Che possano essere di spunto ed ispirazione per chi sta cercando di farsi largo in quella strada tutta nuova.

Tra queste c’è l’esperienza di Isabella e il suo progetto Secondo Round, cui voglio dare spazio come dimostrazione che, a volte, quando si chiude una porta (o meglio quando ce la chiudono in faccia), puoi scegliere tu quale altra aprire.

L’esperienza di Isabella

Secondo Round è un progetto che nasce tre anni fa da una passione e da un’esigenza personale che è diventata una professione, quella di consulente alla carriera e all’orientamento professionale.

Mi chiamo Isabella Tosi e mi sono occupata di comunicazione per molti anni, svolgendo mansioni importanti in ambito marketing e ufficio stampa in contesti di alto livello, dopo essere diventata mamma però ho rinunciato alla mia carriera. In parte per scelta, in parte per imposizione aziendale – e da quel momento sono diventata invisibile.

Credevo di aver raggiunto un buon, se non ottimo livello di carriera, che però è stato completamente cancellato da una nuova identità personale, e anche dal fattore età.

Non mi dilungo sulle difficoltà che ho incontrato per ricollocarmi. Ma sono riuscita a ripartire dalla formazione del personale, dedicata a persone disoccupate e inoccupate in cerca di un lavoro.

Nella mia nuova veste, ho incontrato tantissime donne, come me, che avevano le mie stesse difficoltà a trovare un lavoro. Allora per aiutarle ho incominciato a interessarmi sempre più al settore Risorse Umane, a studiare e a comprendere come affrontare un mondo del lavoro cambiato e all’apparenza ostile ad accogliere persone che ne sono uscite o che ne sono state allontanate.

Dall’aiutare nello scrivere il curriculum più adatto, o la lettera di presentazione più efficace, dalla ricerca di annunci e aziende. Fino al supportare durante e dopo i colloqui di lavoro, ma anche semplicemente ascoltare. In questo consisteva il mio contributo e ora è diventato il mio SecondoRound.

All’inizio è nato un blog per dare spazio e concretezza a questi argomenti e ai mie studi. Poi è diventata un’associazione di supporto al reinserimento lavorativo delle donne che per qualsiasi ragione sono uscite dal mondo del lavoro.

I servizi di SecondoRound sono degli strumenti di ricerca attiva del lavoro e si basano soprattutto su una strategia personalizzata per chi è alla ricerca di un percorso di carriera che tenga conto delle proprie attitudini e aspirazioni, anche quelle mutate nel tempo.

Cercare un lavoro è difficile e complesso. Il mondo del lavoro è molto cambiato rispetto a qualche (non importa quanti!) anni fa. E la componente dell’età è fortemente discriminante. Se poi hai una famiglia o dei figli si aggiungono altre componenti che potrebbero sembrare dei deterrenti.

SecondoRound è una condivisione di esperienze sul difficile lavoro del rientro al lavoro dopo una pausa dovuta a importanti cambiamenti di vita. Figli, malattia, cura di parenti anziani, trasferimento, divorzio, licenziamento – e imparare una nuova strategia che aiuti a riscoprire il proprio io-professionale.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

Clicca QUI per sapere cosa posso fare per te!

Il percorso ad ostacoli tra lavoro e gravidanza: testimonianze di tante donne tra Mantova ed altre città

Il percorso ad ostacoli tra lavoro e gravidanza: testimonianze di tante donne tra Mantova ed altre città

Avviso: questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 23 settembre 2019.

Centocinquantadue. Sono le donne che in sei giorni mi hanno riferito di essere parte delle malcapitate che si sono trovate senza lavoro durante, o appena dopo, quello che dovrebbe essere uno dei momenti maggiormente tutelati al mondo: la gravidanza.

Di queste, trentasette sono di Mantova, la città in cui vivo e dove è quindi chiaro che il problema esiste. Le altre risiedono in altri comuni.

08/10 A venti giorni dalla partenza di questa iniziativa il numero di donne e mamme che mi hanno raccontato la loro storia è salito a centosessantanove.

Ho deciso di pubblicare qui sotto alcune delle testimonianze, mantenendo l’anonimato per tutelare chi ha scritto.

Qualcuno mi ha detto che “Tanto non servirà parlarne”, invece io insisto nel credere che parlarne sia proprio un primo piccolissimo passo. Nella vita ho imparato che ciò che certamente non fa cambiare le cose è il fare nulla per cambiarle. Magari è vero, tutto rimarrà uguale, oppure no. Nel frattempo però tante mamme che hanno dovuto affrontare difficoltà lavorative per aver scelto di contribuire a portare avanti la specie umana (e viste certe derive che fanno pensare ad una meritata estinzione di massa non si può dire che la scelta non sia coraggiosa), si saranno sentite meno sole.

In una società che tende ad isolarti, sentirsi parte di un insieme, per quanto ammaccato, può fare la differenza.

Una riflessione ed una sensibilizzazione sul tema sono d’obbligo.

Le testimonianze

“I temi trattati mi toccano molto da vicino, poiché a 33 anni, sono rimasta incinta. Non ho scelto di avere un figlio, ho scelto di tenere un figlio, ed ero sicura che questa scelta mi avrebbe ripagata in tutto e per tutto, invece al momento di rientrare in ufficio, dopo la maternità, mi è stato chiesto di non rientrare, di smaltire tutte le ferie perché non mi avrebbero rinnovato un contratto che veniva rinnovato da ormai 3 anni! Io lavoravo in un ospedale religioso, gestito da suore, quelle stesse suore che mi hanno benedetto la pancia e tenuto la mano durante il travaglio, poi mi hanno lasciato nei guai. Questa è in breve la mia storia, che purtroppo ha portato a tanti altri problemi di ordine materiale, morale e psicologico, anche perché ora è quanto mai difficile trovare un nuovo lavoro con una bimba piccola. E quindi… Si… Con tanta tristezza nel cuore, ma anche io comprendo chi oggi in Italia, decide di non fare un figlio!”.

“Io sono nella situazione di essere una mamma separata a cui non hanno rinnovato ovviamente il contratto quando è uscita dalla maternità, e con una gestione della separazione con giudice CTU molto problematica. Le donne spesso sono sole in questo processo quando si devono separare, è molto difficile sia economicamente che psicologicamente”.

“Le discriminazioni in relazione al mio essere mamma sono iniziate a partire dall’università.
Infatti sono rimasta incinta a 21anni, mentre stavo completando il secondo anno di università.
Non avevo i genitori alle spalle, ed è stato un bello shock.
Il tutto è stato condito da battute, dal non puoi farcela, dal “passi solo perché fai pena col pancione” ecc…
Poi siamo arrivati ad un bando retribuito che ho vinto (a cui avevo partecipato prima di restare incinta). Se da un lato ho trovato una responsabile fantastica che mi è venuta molto incontro (dovevo finire le ore prima di partorire). Dall’altro, alcuni dei colleghi pensavano che fossi una privilegiata senza comprendere che era una situazione particolare e delicata e che comunque mi facevo 50 km all’andata e 50 km al ritorno all’ottavo mese di gravidanza e lavoravo tanto quanto loro.
Il primo anno di gravidanza mi sono trovata in uno stato di quasi totale isolamento, mi sentivo sola e inutile… Mi sembrava di servire solo ad allattare e di non avere altro valore.

È arrivato il primo colloquio per insegnare italiano agli stranieri di lingua inglese (il mio livello è un C1). Il colloquio è andato benissimo, la titolare (donna) che mi ha fatto il colloquio era molto entusiasta. Arriva alla fatidica domanda avendo io 24 anni, “vedo che ha un anello, sta per sposarsi?” e io credendola una domanda tanto per cordialità rispondo “beh la proposta c’è, poi staremo a vedere”. Al ché lei sembra più seria “dunque avete intenzione di avere figli?” e lì già mi sentivo in ansia “beh, in verità ne abbiamo già una di quasi un anno e mezzo”. Il gelo, un silenzio di tomba ha invaso la stanza. L’imbarazzo era quasi soffocante.
La conclusione inevitabile con quel “le faremo sapere” è stata come un pugnale nello stomaco.
Sono tornata a casa piuttosto sconsolata e ad oggi non ho ancora avuto il coraggio di partecipare ad altri colloqui. Ho proprio paura di rivivere questa situazione”.

“Sono mamma e psicologa libera professionista. Lavoro con le donne in gravidanza e nel post parto. Come libera professionista ho incontrato non pochi problemi, nidi troppo costosi e per chi sta avviando la propria attività non è il massimo, pochi aiuti economici dal Comune o Regione.
A volte mi sento sola come professionista e tante colleghe scelgono di posticipare di tantissimi anni la scelta di diventare madri.
Non solo: quando resti nuovamente incinta ti ritrovi, dopo aver partorito, a creare una nuova cerchia di pazienti e non è per niente facile!”

“La maternità e il lavoro non sono compatibili. Io ho un figlio. È stata per me durissima, nonostante io sia in un’azienda meglio di mille altre. Ho ridotto al nulla congedi e altro. Mio figlio non si è mai ammalato, in 11 anni di vita… (non è vero, ovvio, ma mai sono stata a casa, se non forse un paio di volte). Ora sto cercando di cambiare atteggiamento io, perché ai figli non serve questo ma, certo, servono soldi a casa. Equilibrio difficile che la legislazione non supporta. O, meglio, non è sufficiente perché poco applicabile. Io resto ottimista. Credo possa essere trovata la quadra. Ma bisogna lavorarci, appunto”.

“Non tutti lo sanno ma aspetto una bimba da sei mesi e…il cinema è iniziato già da prima di rimanere incinta con vari problemi a concepire, uniti a incomprensioni dall’esterno. Quando ho capito che ero troppo stressata ho lasciato il mio lavoro sicuro ma pieno di insidie per chi sta anche solo cercando di essere mamma, per buttarmi nel mio progetto da freelance. Sono rimasta subito incinta e non rimpiango per nulla quella scelta, ho visto (anche perché gestivo il personale) troppe situazioni in cui non avrei mai sopportato di trovarmi!! Ora boh, partita Iva e maternità sono un connubio in cui non avrei voluto trovarmi economicamente parlando, però ce la si fa”.

“Sono una freelance che ha nascosto la gravidanza per paura di non ricevere più incarichi”.

“Quando al lavoro hanno saputo che ero rimasta incinta, non mi è stato più rinnovato il contratto. Parliamo di un contratto a progetto e sono ferma da allora, due anni ormai”.

“Io lavoro in produzione per un marchio di lusso che fa pelletteria, nello specifico cucio cinture in pelle. Marzo 2017: ero apprendista al secondo livello, la mia capo reparto mi dice che la dirigenza ha grandi progetti per me, che mi avrebbero fatto fare formazione per sostituirla in caso di bisogno. Novembre 2017: resto incinta.

Da quel momento in poi non andava bene più nulla di quello che avevo sempre fatto.. la mia adorata capa dava volutamente disposizioni differenti a me e ad altre persone per mettere zizzania. Un giorno, ad esempio, mi ha fatto un cazziatone di 40 minuti dicendomi che mi avrebbe voluto fare una lettera di richiamo perché avevo detto ad un collega di mettersi il grembiule. Non sono stata sollevata da nessun incarico, da nessuna mansione, per tutti i dubbi che avevo sui prodotti chimici e le vibrazioni della macchina da cucire sono stata trattata da pazza. Morale della favola, ho rischiato di perdere mio figlio al sesto mese. Ovviamente ora che sono rientrata al lavoro sono diventata l’ultima ruota del carro”.

“Sono giornalista e insegnante di yoga. Dopo aver partorito, il giornale per il quale lavoravo da 3 anni non mi ha rinnovato il contratto…”.

“Ad un colloquio di lavoro, quando hanno scoperto che avevo una figlia, non ero più perfetta per quel posto”.

“Io ho perso il lavoro 3 volte. Le prime due perché avrei potuto fare un figlio, la terza perché il figlio alla fine l’ho fatto. A 38 anni. Ora ho un meraviglioso bimbo di 10 mesi, ho ripreso a ricostruirmi professionalmente appena mi è stato chiesto di licenziarmi (a 3 mesi del pupo), sto ricevendo la maternità obbligatoria a rate”.

“Sono rientrare dalla maternità e sono stata licenziata, avevo un tempo indeterminato”.

“Io non sono ancora mamma, ma la scelta è purtroppo condizionata proprio da quello che hai detto”.

“Io ho dovuto lasciare il mio lavoro e ricominciare da capo per entrambe le mie gravidanze, in due aziende diverse”.

“Sono educatrice specializzata, per cui si può capire che non sono certo una di quelle che inorridisce davanti ad un bambino.
Nonostante ciò facevo la responsabile di sala in un ristorante quando rimasi incinta. Non era cercato, ma ovviamente l’ho tenuta. Ormai ha 13 mesi la mia bellissima bimba.
Ho iniziato a lavorare in questo posto convinta da un mio amico, nonché manager, convincermi proprio perché mi disse: il proprietario ha altri ristoranti, i dipendenti sono tanti, non è un posto dove ti lasciano a casa se resti incinta.
Lo comunico al manager ancora prima di fare una visita, per correttezza, perché avesse modo di organizzarsi.
 
Da quel momento è stato tutto un dirmi che avrebbero cercato di mandarmi lettere di richiamo con ogni scusa, che erano delusi. Persone che fino ad una settimana prima erano tutte un “meno male che ci sei”, io che mi facevo 14 ore filate di lavoro senza pause al giorno, senza straordinari pagati, saltando il giorno di riposo, che sistemato dove dovevo e organizzavo ogni cosa. Sono andata in maternità anticipata e appena scaduto il contratto non mi è stato rinnovato.
 
Quel mio amico manager e la sua compagna (che era la mia migliore amica) mai più sentiti e nemmeno un auguri alla nascita di mia figlia.
Ora sto cercando lavoro con tutte le difficoltà del caso, tra l’altro tra me e il mio compagno non va bene ed oltre a cercarmi un lavoro devo per forza rientrare negli orari assurdi del nido (8-16) perché probabilmente ci separeremo. Ma non posso permettermelo finché non trovo un lavoro. E per finire, a 28 anni vengo ritenuta vecchia perché non possono farmi contratti di apprendistato.
 
Questo è avere un figlio in Italia”
 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Il percorso ad ostacoli tra il (non) poter conciliare il lavoro con l’avere figli: parla una mamma avvocato di Mantova

Il percorso ad ostacoli tra il (non) poter conciliare il lavoro con l’avere figli: parla una mamma avvocato di Mantova

Da quando ho deciso di iniziare a raccogliere le testimonianze di quelle donne che si sono trovate in difficoltà nel riuscire a conciliare il proprio lavoro con il crescere dei figli, mi è stato subito chiaro che non importa quale mestiere tu faccia.

Se sei donna e madre, almeno una volta nella vita hai probabilmente dovuto scontrarti con una realtà che non ti tutela a sufficienza.

Certo, le eccezioni ci sono e spero di poter riportare anche esperienze positive perché siano di esempio, di spunto e soprattutto per non perdere le speranze. Nel frattempo però si può considerare che, in percentuale, queste siano l’equivalente delle macchine di colore giallo che vedevi passare da bambino quando il gioco era “Vince chi vede per primo una macchina gialla”. Invece passavano solo quelle nere e grigie.

Del resto non è forse vero che quando un’azienda, un ufficio, un’attività privata, un ente pubblico, assume una donna incinta, rinnova un contratto durante una maternità, oppure sposa delle esemplari politiche di conciliazione famiglia-lavoro, la questione diventa una notizia raccogliendo ammirazione e stupore? Ecco, il punto è proprio questo.

Tra le mamme di Mantova, la mia città, che mi hanno chiesto di dare loro voce c’è un avvocato. Qui sotto pubblico la sua testimonianza. Lei fa una richiesta precisa: regolamentare maggiormente gli orari delle udienze.

L’obiettivo è sempre uno ed è la sensibilizzazione. Se anche una sola persona rifletterà su tutto questo non sarà certo stato tempo sprecato.

 

LA TESTIMONIANZA 

“Sono un avvocato e durante l’ennesima udienza penale nella quale ero stata convocata per le 9,00, dato che stavo aspettando il mio turno (spesso veniamo tutti convocati alle 9,00 con la conseguenza che poi si formano tempi di attesa interminabili), ho espresso, per l’ennesima volta, la mia preoccupazione per il fatto che fosse quasi mezzogiorno e con tutta probabilità non avrei fatto in tempo ad andare a prendere i miei figli all’uscita da scuola alle 13.

Mi è stato risposto: “Manda una segnalazione tramite mail alla Camera penale e poi vediamo”.

Ho mandato la mail, così come ha fatto un’altra collega nelle mie condizioni, chiedendo che venissero regolamentati gli orari delle udienze in modo più razionale.

Risultato? Nessuno.

Nessuna risposta, segnalazione totalmente ignorata.

Di lì a qualche mese, ad un convegno ho sentito dire dalla relatrice di turno che le madri avvocato devono sapersi organizzare coi figli in modo da poter restare in udienza senza patemi. Voilà. Capito? Poi provaci, tu, a insistere sul fatto di dover fare i salti mortali per lavorare ed essere una madre presente. Io ho abbassato la testa e non ne ho più parlato con nessuno dei “piani alti”.

Ho chiesto a questa mamma di provare a riassumere la sua giornata tipo, nonostante si parli di una professione con imprevisti quotidiani, per poter dare un’idea più chiara delle difficoltà. Oltre al costante senso di precarietà in cui vive una madre lavoratrice, obbligata a fare affidamento sulla disponibilità di terzi che, comprensibilmente, possono non garantire di esserci sempre.

Mary Poppins non esiste e bisogna farci i conti.

“In verità non c’è una regola, anzi…Però potrei provare a sintetizzare come segue: ore 8,00 accompagno i miei figli a scuola, passo la mattina in ufficio o in tribunale (per udienze e/o mansioni di cancelleria). Rientro per le 12,45 per prelevare i figli a scuola e preparare il pranzo. Trascorro il primo pomeriggio a sistemare gli zaini (libri, quaderni, merenda, abbigliamento eventuale per attività motoria…), e il pomeriggio fino alle 16,00 circa è dedicato al controllo compiti, dopodiché sono in ufficio fino alle 19,00/20,00 (nei pomeriggi – due – in cui stanno col papà, – uno – in cui stanno con la baby-sitter), oppure lavoro a casa. La sera può capitare che debba lavorare. In questo caso procedo, dopo aver messo a letto i figli (verso le 21,30). Nei casi di imprevisto mi appoggio a mia mamma (attualmente ko), alla baby-sitter (praticamente una zia acquisita, tanto è il grado di confidenza) o al papà”.

 

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

Clicca QUI per sapere cosa posso fare per te!