Volersi bene per ciò che si è nonostante il frullatore psicologico e fisico chiamato gravidanza: il mio incontro con Elisiane

Volersi bene per ciò che si è nonostante il frullatore psicologico e fisico chiamato gravidanza: il mio incontro con Elisiane

Promemoria sempre valido: volersi bene per ciò che si è.

Un mantra che dovremmo ripeterci ogni giorno, ogni volta che ci guardiamo allo specchio e ci vediamo troppo grassi o troppo magri, con i capelli non in ordine, con qualche ruga in più di ieri, con le occhiaie, con il viso stanco, o con le cicatrici accumulate in anni di vita.

C’è chi però per mestiere, e voglio parlare proprio di lei, riesce a farti vedere bellissima nonostante quei momenti in cui anche lo specchio di casa ti sembri decisamente contrariato all’idea di riflettere la tua immagine. Del resto tu lo capisci benissimo, il tuo specchio.

Scrivo questo pezzo mentre mi trovo ad una visita di routine in ospedale. Ci sono le solite circa quattrocinquesei ore di attesa sufficienti a farti sorgere dubbi sulla tua intera esistenza e a farti venire in mente l’esatto modo in cui avresti dovuto replicare alle medie, durante quel litigio con il compagno di banco.

Quindi meglio incanalare il nervosismo in qualcosa di positivo, tipo scrivere.

Comunque, sono circondata da tante altre donne incinta agli ultimi giorni di gravidanza.

Le vedo tutte bellissime.

Esattamente il contrario di come vedo me stessa da quando il mio corpo ha iniziato a modificarsi in maniera considerevole per fare spazio alla creaturina che ormai non vedo proprio l’ora di conoscere.

Ogni volta che qualcuno mi dice “Come sei bella!”, da diverse settimane io abbasso gli occhi e rispondo con “Guarda, mi sento una grossa palla ingombrante. Sono una palla!”. Ed è così che mi sento tra smagliature che non avevo, cellulite che non avevo, gambe e seni gonfi, stanchezza perenne (lo so, quella è destinata a peggiorare), goffaggine, nessun indumento che più mi stia bene come prima. Anzi, nessun indumento che mi entri.

Insomma la gravidanza non è una passeggiata. Fa a pugni con i messaggi che fin da piccoli si è abituati a ricevere dall’esterno in una società che richiede la perfezione.

Proprio nel periodo in cui tu prenderesti a pugni quasi chiunque, a partire da quelle che “Pensa, io avevo preso solo ottonove chili quando ero incinta e pochi giorni dopo il parto sono tornata più magra di prima”.

Spoiler: la perfezione non esiste, così come quelle che hanno preso i leggendari otto chili.
“Dolce attesa” non è forse il termine più adatto per definirla.
Gli effetti collaterali fisici e psicologici sono infiniti. Un frullatore a giro continuo di stati d’animo ed emozioni contrastanti.
Nessuna mamma è mai davvero preparata, perché come sempre la teoria è un conto ma la pratica tutt’altra faccenda.

Ho conosciuto la fotografa Elisiane Bianchini per caso, in un bar mentre facevo colazione alla mia trentesima settimana di gravidanza. La realtà è che stavo vivendo una storia d’amore con un croissant alla Nutella e già sentivo i sensi di colpa abbracciarmi come vecchi amici, ma questa è un’altra faccenda.

Elisiane mi ha chiesto di farle da modella per alcuni abiti pensati per le sue clienti mamme.
All’inizio ero incerta. Non avevo mai preso in considerazione di prestarmi per un servizio fotografico e men che meno nella versione “Grossa palla ingombrante” che ero diventata.

Alla fine ho accettato e ancora oggi la ringrazio per avermi fatto vivere questa esperienza.
I suoi scatti davvero belli e professionali (tutti quelli pubblicati in questa pagina sono stati fatti da lei) insieme alla sua sensibilità, mi hanno ricordato l’importanza di apprezzare ognuno di questi chili in più e questa pancia che poi è la casa di un mini umano cui il mio corpo ha dato vita con un lavoro immenso che ok è scienza, ma per quanto mi riguarda resta magia.

Elisiane opera tra Mantova e Villafranca, è specializzata in servizi per mamme in attesa e neonati ed è un esempio di persona che si è voluta mettere in gioco.

Anni fa svolgeva una professione completamente diversa e quando sono nate le sue figlie ha scoperto che la cosa che più le piaceva era fotografarle. Detto fatto. Ha deciso di buttarsi nel cambiare lavoro e formarsi per diventare fotografa professionista.

Conoscendo la sua storia sono stata ancora più felice di essermi prestata ai suoi occhi e credo ci sia bisogno di donne che ti ricordino come sia possibile provare a diventare ciò che si vuole e volersi bene per ciò che si è.

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Poter conciliare lavoro precario (e non) e maternità? È più facile vincere al Superenalotto

Poter conciliare lavoro precario (e non) e maternità? È più facile vincere al Superenalotto

“I giovani, oggi, non fanno più figli”.

Quante volte avete sentito ripetere questa frase? Probabilmente, come me, tante.

Bene, arrivata al traguardo dei miei nove mesi di gravidanza posso dire con certezza che io, quelli che non fanno figli, li capisco benissimo.

Siamo nel 2019, il precariato la fa da padrone e per una donna, conciliare il legittimo desiderio di avere una carriera con quello di una famiglia, è ancora spesso un miraggio.

Non tornerei mai indietro nella scelta fatta, ma se qualcuno mi avesse detto che avrei incontrato un numero imprecisato di ostacoli, che nemmeno alle corse dei cavalli, e una buona dose di porte chiuse nel mondo del lavoro, che in confronto quelle della fabbrica di Monsters & Co. sono pochine, mi sarei quanto meno armata di scudo ed elmetto, o avrei fatto un lungo lunghissimo corso di preparazione zen.

Vabbè, non sarebbe bastato.

La verità è che se rimani incinta e hai dei contratti a tempo determinato ed in scadenza, sei fregata. Se ne hai uno apparentemente solido a tempo indeterminato, potresti essere fregata lo stesso e ritrovarti magicamente spostata di ufficio, settore, realtà, pianeta, galassia.

Non importa da quanti anni lavori, non importano i tuoi titoli di studio, le esperienze, le competenze e la professionalità. La maggior parte dei datori di lavoro troverà molto ghiotta l’occasione per poterti non rinnovare quella minima garanzia che ti permetterebbe di non farti domande del tipo “Ok, e adesso come darò da mangiare alla creatura? Non è ancora nata e sono già una pessima madre senza più prospettive di carriera”.

Del resto, a quante è capitato di sentirsi chiedere durante un colloquio di lavoro se ci fosse stata l’intenzione futura di avere dei figli?

È un attimo passare dal momento in cui annunci di essere incinta, ovvero quando l’esserino inizia a prendersi i suoi spazi con lievitazione del tuo giro vita, all’apertura della sagra dei “Eh adesso che hai questo problema – ci mancherebbe che mettere al mondo un mini umano non fosse un problema – non è che possiamo rinnovarti il contratto, rimarremmo scoperti troppi mesi e chissà quando poi finirai la maternità”. Al “Guarda a questo punto pensiamo di prendere degli stagisti al posto tuo, che comunque sai costano meno”.

Un’altra categoria è formata da quelli che “Il tuo contratto non verrà rinnovato per ora, ma se ti rendi disponibile per i prossimi mesi – nemmeno a precisarlo, gratis – appena finisci la maternità vediamo poi, forse, che fare”.

Ci sono quelli che non hanno proprio il coraggio di dirti la verità in faccia, i peggiori, e ti tengono in sospeso con “Stiamo valutando la situazione, pensiamo di fare delle scelte diverse e prendere qualcun altro ma per vari motivi, cioè non pensare di essere tu il problema”.

Infine gli altruisti: “È un bene per te non avere il pensiero di dover tornare al lavoro tra qualche mese, così ti godi la gravidanza e la piccola quando nasce”.

Caspita, grazie! Ed io che credevo di dover continuare a procurarmi uno stipendio per poterla mantenere. Menomale che mi hai fatto questo favore.

E altri complimenti del genere, che ti fanno proprio ringraziare il cielo di essere donna, under 30, incinta, e di aver fatto straordinari e sacrifici.

Così tra gli sbalzi ormonali e umorali, gli enormi cambiamenti con cui già devi fare i conti giorno per giorno e la totale incertezza verso il futuro ti trovi a dispiacerti del fatto che tua figlia sia femmina e che forse un giorno avrà lo stesso trattamento.

Provi però a ripeterti che magari non è l’intero mondo così, che hai trovato tu alcuni capi sbagliati. (Anche se non tutti, sia chiaro). Invece no.

Durante le visite mediche riservate in massa alle donne in gravidanza, per capirci quelle occasioni in cui ci sono altre decine di pance, ho conosciuto ragazze con una situazione che le mie esperienze negative in confronto sono state una puntata di Zelig ai tempi in cui faceva ridere.

Sarà per deformazione professionale, perché il giornalismo ti porta ad incuriosirti, appassionarti alle storie e soprattutto ascoltarle, che ho raccolto fin troppe testimonianze.

C’è stata Alice, anche lei di Mantova, anche lei di 29 anni, che mi ha raccontato di essere stata costretta a dare le dimissioni da una scuola in cui lavorava, a causa delle pressioni subite dopo aver comunicato di aspettare un bimbo.

C’è stata Sara, poco più grande, che ha ricevuto una mail dall’ufficio personale della sua azienda in cui le veniva notificato che al rientro al lavoro si sarebbe trovata in un’altra area, a svolgere tutt’altra mansione.

Ci sono state Francesca ed Ilaria, che nulla hanno potuto fare se non constatare che i contratti a tempo determinato non sarebbero più stati rinnovati con una calorosa pacca sulla spalla.

C’è stata Arianna, con un altro figlio piccolo a casa, obbligata a rimanere al lavoro fino al nono mese, visto che ora la legge lo consente, per paura di essere altrimenti licenziata.

C’è stata anche Angelica, che da libera professionista ha visto una certa quantità di clienti di città e provincia scomparire alla velocità di un Boeing X-43A.

Come loro, tante altre. Troppe, appunto. Da scriverci un libro nero.

Ogni storia terminava con una frase: “Tanto funziona così, inutile parlarne o lamentarsi”.

Mi si è accesa una certa rabbia, mista a delusione e frustrazione. Il mix di ingredienti per la perfetta pietanza indigesta.

Sì, evidentemente in diversi ambienti lavorativi funziona così. È però davvero inutile parlarne?

Sono convinta che far sentire la propria voce sia sempre la scelta giusta, e se anche una sola persona rifletterà su tutto questo non sarà certo stato fiato sprecato.

La strada per riuscire a far valere i propri diritti ed andare verso una giusta conciliazione tra lavoro e famiglia è una salita che sicuramente ha nulla da invidiare quanto a ripidità rispetto alle scalate di Messner, ma ogni traguardo si raggiunge facendo un primo piccolo passo.

Non sentirsi sole e tendersi la mano a vicenda è già un salto in avanti.

Prima di dire “I giovani, oggi, non fanno più figli”, bisognerebbe chiedersi “Cosa si può fare per permettere ai giovani, oggi, di sentirsi tutelati ad avere dei figli?”.

Una domanda che dovrebbero porsi soprattutto i politici, e chiunque rivesta posizioni di comando, le persone che potrebbero cambiare la rotta.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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