Volevo scrivere una accurata riflessione su come funziona (male) la maternità in Italia.
Come è cambiata l’obbligatoria con la nuova flessibilità, la facoltativa e cosa succede invece per chi è libera professionista. Quali diritti (non) ci sono. Avevo raccolto diverse esperienze da pubblicare e selezionato i siti informativi più autorevoli in merito.

Poi è successa una cosa.

Così ho deciso di cambiare programma, mettere per un momento da parte tutto e scrivere con il cuore.

È successo che mi è comparso davanti agli occhi un articolo su come ottimizzare il tempo dell’allattamento (o del biberon, a seconda delle situazioni) nelle prime fasi di vita del bambino e rientrare presto al lavoro.
In sintesi: subito dopo il parto, con una mano puoi nutrire la tua creaturina mentre con l’altra puoi essere operativa al pc rispondendo alle mail, creando progetti, stare al telefono con capo, colleghi e clienti.
Durante l’allattamento, uno dei momenti più delicati proprio nelle prime fasi di vita.

Avete capito bene?

Ciò che avrei voluto scrivere sulla maternità era proprio che ogni cosa va contro il prendersi del tempo per la cura di se’ e del proprio figlio. Ogni nuova normativa non va nella direzione della vera tutela della donna e mamma, ma nella direzione del lavorare il più possibile. Durante la gravidanza, dopo la gravidanza, durante il parto magari. Perché no, del resto per diverse ore le mani sono entrambe libere e qualche scema in senso buono (come me) finisce davvero per rispondere ad un paio di mail.

Prendersi del tempo, e parlo di quello che spetterebbe ad ogni neo mamma, in questa società è a volte considerata una colpa.
Attenzione: lo stesso discorso vale per ogni momento di fragilità della vita. Una malattia, un infortunio, un lutto, una delusione. Fragilità non solo del corpo, anche dell’anima.
Non è più permesso essere fragili e rallentare o addirittura fermarsi per un periodo.

A maggior ragione per chi è incinta e diventa mamma. Quando alla fine tutto va bene è un avvenimento bello, felice, quindi ancora di più è una colpa prendersi del tempo.

Bisogna fare, correre, andare, ricominciare.
È quasi impossibile rallentare quando cresci in un mondo che ti fa sentire immediatamente in difetto.
Durante la gravidanza, se in alcune giornate proprio non riuscivo ad essere produttiva, subito qualcuno mi ricordava che non avevo fatto niente e avrei invece avuto tempo.
La stessa cosa è successa più volte dopo il parto.

Come a me, a tantissime altre donne che so essersi trovate esattamente nella stessa situazione.

Portare avanti una gravidanza, partorire, crescere un neonato non è fare niente. È una cosa enorme. Meravigliosa, sì. Che richiede un impegno psicologico e fisico gigantesco.

Tornando a quell’articolo, e peccato non fosse firmato altrimenti avrei cercato di rintracciare chi lo ha scritto, allattare (al seno o con il biberon) non significa avere del tempo libero.
Qualunque mamma, con quella famosa mano libera, farà spesso qualcosa d’altro senza che nessuno debba suggerirlo, perché qualunque mamma si trova a fare anche cinque attività in contemporanea.
Anche lavorare quando una se la sente. Ma la scelta deve essere libera.

Ciò che ritengo profondamente sbagliato è che gli input esterni siano tutti verso il continuare a correre.
I bambini di oggi (e il motivo per cui ne nascono sempre meno è sotto il nostro naso) sono gli adulti di domani. Le basi che vengono messe dai genitori, o dalla famiglia in generale, nei primi giorni, mesi, anni di vita possono fare la differenza rispetto alla persona che crescerà.
La società dovrebbe insegnare che prendersi del tempo per accudire un bambino è fondamentale.
La società invece insegna che è meglio fare alla svelta, perché se ti fermi un attimo in più potresti ritrovarti senza un lavoro. E allora come la manterrai in futuro quella piccola persona?

Il mio augurio per questo Natale è rivolto a chiunque stia attraversando una fase di fragilità della propria vita: se puoi rallenta e prenditi del tempo. Un domani ti guarderai indietro e ti ringrazierai per averlo fatto.

Quando è stata l’ultima volta?

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.