Avviso: questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 23 settembre 2019.

Centocinquantadue. Sono le donne che in sei giorni mi hanno riferito di essere parte delle malcapitate che si sono trovate senza lavoro durante, o appena dopo, quello che dovrebbe essere uno dei momenti maggiormente tutelati al mondo: la gravidanza.

Di queste, trentasette sono di Mantova, la città in cui vivo e dove è quindi chiaro che il problema esiste. Le altre risiedono in altri comuni.

08/10 A venti giorni dalla partenza di questa iniziativa il numero di donne e mamme che mi hanno raccontato la loro storia è salito a centosessantanove.

Ho deciso di pubblicare qui sotto alcune delle testimonianze, mantenendo l’anonimato per tutelare chi ha scritto.

Qualcuno mi ha detto che “Tanto non servirà parlarne”, invece io insisto nel credere che parlarne sia proprio un primo piccolissimo passo. Nella vita ho imparato che ciò che certamente non fa cambiare le cose è il fare nulla per cambiarle. Magari è vero, tutto rimarrà uguale, oppure no. Nel frattempo però tante mamme che hanno dovuto affrontare difficoltà lavorative per aver scelto di contribuire a portare avanti la specie umana (e viste certe derive che fanno pensare ad una meritata estinzione di massa non si può dire che la scelta non sia coraggiosa), si saranno sentite meno sole.

In una società che tende ad isolarti, sentirsi parte di un insieme, per quanto ammaccato, può fare la differenza.

Una riflessione ed una sensibilizzazione sul tema sono d’obbligo.

Le testimonianze

“I temi trattati mi toccano molto da vicino, poiché a 33 anni, sono rimasta incinta. Non ho scelto di avere un figlio, ho scelto di tenere un figlio, ed ero sicura che questa scelta mi avrebbe ripagata in tutto e per tutto, invece al momento di rientrare in ufficio, dopo la maternità, mi è stato chiesto di non rientrare, di smaltire tutte le ferie perché non mi avrebbero rinnovato un contratto che veniva rinnovato da ormai 3 anni! Io lavoravo in un ospedale religioso, gestito da suore, quelle stesse suore che mi hanno benedetto la pancia e tenuto la mano durante il travaglio, poi mi hanno lasciato nei guai. Questa è in breve la mia storia, che purtroppo ha portato a tanti altri problemi di ordine materiale, morale e psicologico, anche perché ora è quanto mai difficile trovare un nuovo lavoro con una bimba piccola. E quindi… Si… Con tanta tristezza nel cuore, ma anche io comprendo chi oggi in Italia, decide di non fare un figlio!”.

“Io sono nella situazione di essere una mamma separata a cui non hanno rinnovato ovviamente il contratto quando è uscita dalla maternità, e con una gestione della separazione con giudice CTU molto problematica. Le donne spesso sono sole in questo processo quando si devono separare, è molto difficile sia economicamente che psicologicamente”.

“Le discriminazioni in relazione al mio essere mamma sono iniziate a partire dall’università.
Infatti sono rimasta incinta a 21anni, mentre stavo completando il secondo anno di università.
Non avevo i genitori alle spalle, ed è stato un bello shock.
Il tutto è stato condito da battute, dal non puoi farcela, dal “passi solo perché fai pena col pancione” ecc…
Poi siamo arrivati ad un bando retribuito che ho vinto (a cui avevo partecipato prima di restare incinta). Se da un lato ho trovato una responsabile fantastica che mi è venuta molto incontro (dovevo finire le ore prima di partorire). Dall’altro, alcuni dei colleghi pensavano che fossi una privilegiata senza comprendere che era una situazione particolare e delicata e che comunque mi facevo 50 km all’andata e 50 km al ritorno all’ottavo mese di gravidanza e lavoravo tanto quanto loro.
Il primo anno di gravidanza mi sono trovata in uno stato di quasi totale isolamento, mi sentivo sola e inutile… Mi sembrava di servire solo ad allattare e di non avere altro valore.

È arrivato il primo colloquio per insegnare italiano agli stranieri di lingua inglese (il mio livello è un C1). Il colloquio è andato benissimo, la titolare (donna) che mi ha fatto il colloquio era molto entusiasta. Arriva alla fatidica domanda avendo io 24 anni, “vedo che ha un anello, sta per sposarsi?” e io credendola una domanda tanto per cordialità rispondo “beh la proposta c’è, poi staremo a vedere”. Al ché lei sembra più seria “dunque avete intenzione di avere figli?” e lì già mi sentivo in ansia “beh, in verità ne abbiamo già una di quasi un anno e mezzo”. Il gelo, un silenzio di tomba ha invaso la stanza. L’imbarazzo era quasi soffocante.
La conclusione inevitabile con quel “le faremo sapere” è stata come un pugnale nello stomaco.
Sono tornata a casa piuttosto sconsolata e ad oggi non ho ancora avuto il coraggio di partecipare ad altri colloqui. Ho proprio paura di rivivere questa situazione”.

“Sono mamma e psicologa libera professionista. Lavoro con le donne in gravidanza e nel post parto. Come libera professionista ho incontrato non pochi problemi, nidi troppo costosi e per chi sta avviando la propria attività non è il massimo, pochi aiuti economici dal Comune o Regione.
A volte mi sento sola come professionista e tante colleghe scelgono di posticipare di tantissimi anni la scelta di diventare madri.
Non solo: quando resti nuovamente incinta ti ritrovi, dopo aver partorito, a creare una nuova cerchia di pazienti e non è per niente facile!”

“La maternità e il lavoro non sono compatibili. Io ho un figlio. È stata per me durissima, nonostante io sia in un’azienda meglio di mille altre. Ho ridotto al nulla congedi e altro. Mio figlio non si è mai ammalato, in 11 anni di vita… (non è vero, ovvio, ma mai sono stata a casa, se non forse un paio di volte). Ora sto cercando di cambiare atteggiamento io, perché ai figli non serve questo ma, certo, servono soldi a casa. Equilibrio difficile che la legislazione non supporta. O, meglio, non è sufficiente perché poco applicabile. Io resto ottimista. Credo possa essere trovata la quadra. Ma bisogna lavorarci, appunto”.

“Non tutti lo sanno ma aspetto una bimba da sei mesi e…il cinema è iniziato già da prima di rimanere incinta con vari problemi a concepire, uniti a incomprensioni dall’esterno. Quando ho capito che ero troppo stressata ho lasciato il mio lavoro sicuro ma pieno di insidie per chi sta anche solo cercando di essere mamma, per buttarmi nel mio progetto da freelance. Sono rimasta subito incinta e non rimpiango per nulla quella scelta, ho visto (anche perché gestivo il personale) troppe situazioni in cui non avrei mai sopportato di trovarmi!! Ora boh, partita Iva e maternità sono un connubio in cui non avrei voluto trovarmi economicamente parlando, però ce la si fa”.

“Sono una freelance che ha nascosto la gravidanza per paura di non ricevere più incarichi”.

“Quando al lavoro hanno saputo che ero rimasta incinta, non mi è stato più rinnovato il contratto. Parliamo di un contratto a progetto e sono ferma da allora, due anni ormai”.

“Io lavoro in produzione per un marchio di lusso che fa pelletteria, nello specifico cucio cinture in pelle. Marzo 2017: ero apprendista al secondo livello, la mia capo reparto mi dice che la dirigenza ha grandi progetti per me, che mi avrebbero fatto fare formazione per sostituirla in caso di bisogno. Novembre 2017: resto incinta.

Da quel momento in poi non andava bene più nulla di quello che avevo sempre fatto.. la mia adorata capa dava volutamente disposizioni differenti a me e ad altre persone per mettere zizzania. Un giorno, ad esempio, mi ha fatto un cazziatone di 40 minuti dicendomi che mi avrebbe voluto fare una lettera di richiamo perché avevo detto ad un collega di mettersi il grembiule. Non sono stata sollevata da nessun incarico, da nessuna mansione, per tutti i dubbi che avevo sui prodotti chimici e le vibrazioni della macchina da cucire sono stata trattata da pazza. Morale della favola, ho rischiato di perdere mio figlio al sesto mese. Ovviamente ora che sono rientrata al lavoro sono diventata l’ultima ruota del carro”.

“Sono giornalista e insegnante di yoga. Dopo aver partorito, il giornale per il quale lavoravo da 3 anni non mi ha rinnovato il contratto…”.

“Ad un colloquio di lavoro, quando hanno scoperto che avevo una figlia, non ero più perfetta per quel posto”.

“Io ho perso il lavoro 3 volte. Le prime due perché avrei potuto fare un figlio, la terza perché il figlio alla fine l’ho fatto. A 38 anni. Ora ho un meraviglioso bimbo di 10 mesi, ho ripreso a ricostruirmi professionalmente appena mi è stato chiesto di licenziarmi (a 3 mesi del pupo), sto ricevendo la maternità obbligatoria a rate”.

“Sono rientrare dalla maternità e sono stata licenziata, avevo un tempo indeterminato”.

“Io non sono ancora mamma, ma la scelta è purtroppo condizionata proprio da quello che hai detto”.

“Io ho dovuto lasciare il mio lavoro e ricominciare da capo per entrambe le mie gravidanze, in due aziende diverse”.

“Sono educatrice specializzata, per cui si può capire che non sono certo una di quelle che inorridisce davanti ad un bambino.
Nonostante ciò facevo la responsabile di sala in un ristorante quando rimasi incinta. Non era cercato, ma ovviamente l’ho tenuta. Ormai ha 13 mesi la mia bellissima bimba.
Ho iniziato a lavorare in questo posto convinta da un mio amico, nonché manager, convincermi proprio perché mi disse: il proprietario ha altri ristoranti, i dipendenti sono tanti, non è un posto dove ti lasciano a casa se resti incinta.
Lo comunico al manager ancora prima di fare una visita, per correttezza, perché avesse modo di organizzarsi.
 
Da quel momento è stato tutto un dirmi che avrebbero cercato di mandarmi lettere di richiamo con ogni scusa, che erano delusi. Persone che fino ad una settimana prima erano tutte un “meno male che ci sei”, io che mi facevo 14 ore filate di lavoro senza pause al giorno, senza straordinari pagati, saltando il giorno di riposo, che sistemato dove dovevo e organizzavo ogni cosa. Sono andata in maternità anticipata e appena scaduto il contratto non mi è stato rinnovato.
 
Quel mio amico manager e la sua compagna (che era la mia migliore amica) mai più sentiti e nemmeno un auguri alla nascita di mia figlia.
Ora sto cercando lavoro con tutte le difficoltà del caso, tra l’altro tra me e il mio compagno non va bene ed oltre a cercarmi un lavoro devo per forza rientrare negli orari assurdi del nido (8-16) perché probabilmente ci separeremo. Ma non posso permettermelo finché non trovo un lavoro. E per finire, a 28 anni vengo ritenuta vecchia perché non possono farmi contratti di apprendistato.
 
Questo è avere un figlio in Italia”
 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.