Come la legge sulla maternità non tutela mamma e bambino

Come la legge sulla maternità non tutela mamma e bambino

“Elena perché non scrivi che la maternità qui in Italia funziona uno schifo e non tutela affatto le donne che lavorano?”
 
“Mi piacerebbe avere un altro figlio, ma sono passati solo due anni dal primo e mi sa che se resto di nuovo incinta in qualche modo mi licenziano”.
 
I pensieri di due amiche credo siano gli stessi di tante tantissime altre mamme ed anche di non mamme.
 
 
Tengo subito a precisare che, come sempre, ciò che scrivo non può essere e non ha la pretesa di essere condiviso da tutti. Cerco di racchiudere in una modesta manciata di parole le esperienze della maggior parte delle persone con cui mi trovo a confrontarmi, a chiacchierare, ad aiutare nel mio piccolo e per quanto riesco a fare.
 
Lo voglio ricordare: sono convinta che le reti di aiuto siano un’arma potentissima per combattere le emozioni negative e per moltiplicare quelle positive.
 

La maternità in Italia

 
In estrema sintesi (rimando per completezza al sito del girone infernale nominato Inps dove la questione è approfonditamente spiegata in lingua aliena). Nelle situazioni ordinarie in cui mamma e bimbo sono in salute per tutta la gravidanza, la mamma può astenersi dal lavoro due mesi prima della data presunta del parto e avrà un bonus fedeltà per l’astensione di altri tre mesi dopo il parto.
 
In alternativa, grazie alla super recente riforma per andare moltissimo incontro alle donne che lavorano, la mamma può continuare a lavorare più o meno finché non sentirà il primo vagito del bambino, segno della nascita, stando comodamente in ufficio. Come premio potrà allora usufruire di cinque mesi di astensione dopo il parto.
 
Poco importa che le ultime settimane di gravidanza siano una costellazione di notti in bianco, di corse a cercare un bagno per fare pipì ogni ottodieci minuti, di sbalzi d’umore, di paure ed ansie, di affanno nel salire le scale, di esami, di fragilità emotiva e fisica.
 
Per chi non ci aveva mai pensato ebbene sì, un pancione che contiene un mini umano in costante crescita non è un dettaglio completamente trascurabile per quelle che se lo portano in giro e per chi sta loro accanto.
 
Esiste poi il congedo facoltativo. La bacchetta magica che consente di proseguire l’astensione dal lavoro dopo i tre mesi della creatura, per altri sei.
C’è forse una fregatura? Certamente.
Lo stipendio della mamma viene altrettanto magicamente assottigliato fino al trenta percento. Con la stessa delicatezza di un Alohomora lanciato da Hermione già nel primo Harry Potter per aprire una serratura. Un vero incantesimo.
Del resto non ci sono spese per mantenere un nuovo componente della famiglia. Sciocco chi lo pensa. Anzi, quasi quasi si risparmia quindi mica serve lo stipendio pieno.
 
Come dici? Tu che leggi sei una libera professionista e non hai nemmeno questa possibilità perché ad un certo punto se non lavori non guadagni? Ah beh, un po’ te lo sei cercata, lo Stato non può tutelare tutte tutte le categorie.
 
Colpa delle donne che vogliono essere madri e pure proseguire nel portare avanti la carriera.
E poi appunto si tratta di una scelta facoltativa, cioè fatti tuoi.
 
Per banalizzare la faccenda, un neonato di tre mesi viene quindi considerato praticamente autonomo e non bisognoso della mamma. Nella foto dell’anteprima potete vedere i piedi di mia figlia di tre mesi. Misurano sette centimetri e mezzo e lei non sa nemmeno ancora quasi di averli e a che cosa servano. Però attenzione: le manine le ha già scoperte settimane fa, quindi in effetti perché mi preoccupo tanto.
Tra l’altro ora c’è nell’aria questa nuova proposta. Il Governo sta studiando la possibilità di estendere il congedo obbligatorio per la nascita da cinque a sei mesi totali prevedendo che il papà ne utilizzi il 20%. Un mese.
 
Caspita! Grazie!
 
 
 
 
In Italia siamo ancora distanti quanto la Terra e Plutone dall’avere una riforma che tuteli, incoraggi e protegga – perché sì, c’è bisogno di protezione – le donne mamme con un’occupazione, che impedisca ai datori di lavoro di approfittarsene e che renda la società un luogo accogliente per i nuovi nati.
Una vera politica di conciliazione lavoro-famiglia ancora non esiste.
 

I bambini hanno bisogno della mamma

 
Non è una frase di comodo, non è una banalità, non è una leggenda.
Il corpo di una donna impiega nove mesi per creare un mini umano, mentre si pretende che tre mesi, cinque mesi, sei mesi di vita, siano sufficienti a rendere un bambino autonomo e non più estremamente dipendente dalla mamma o dalla sua figura genitoriale di riferimento.
Un bambino come ogni cucciolo per crescere, ha bisogno di una mamma fisicamente e mentalmente presente, il più possibile serena e tranquilla.
Non di una mamma preoccupata, in ansia.
Le preoccupazioni e le ansie sono già parte di lei dal momento in cui sa di essere incinta, aumentano fino al parto, per non parlare dell’istante in cui torna a casa con la creaturina.
E questo nelle situazioni ordinarie in cui non ci sono complicazioni.
 
Un bambino ha bisogno di contatto, di sorrisi, di cure, di attenzioni. Ha bisogno di farsi conoscere e capire, di avere fiducia.
Un bambino ha bisogno di presenza fisica costante, di sguardi, di baci, di coccole, di essere cullato, di sentire canzoncine e parole dolci. A tre mesi mangia ancora ogni tre ore e chi può allatta. Chi non può prepara biberon. Per farsi capire piange e in alcuni giorni piange spesso, perché questo è il suo modo di comunicare. Chi può capirlo e consolarlo è la mamma.
Anche la mamma ha bisogno del suo bambino (ma anche di ricominciare a volte a dormire, a mangiare regolarmente, a capire come gira di nuovo il mondo). Lei nasce insieme a lui.
 
Crescere al meglio un bambino ponendo delle basi solide per l’adulto che diventerà e tutelare una mamma non è una cosa superflua, non è un di più. È un investimento sul futuro della società in cui viviamo. Una mamma ed un bambino il più possibile felici, tranquilli, sereni, saranno in futuro una spesa minore per la collettività ed una risorsa maggiore.
 
Il costante aumento di neo mamme costrette a dimettersi dovrebbe far riflettere.
 
 
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Il miglior regalo di Natale che ci si possa fare: prendersi del tempo

Il miglior regalo di Natale che ci si possa fare: prendersi del tempo

Volevo scrivere una accurata riflessione su come funziona (male) la maternità in Italia.
Come è cambiata l’obbligatoria con la nuova flessibilità, la facoltativa e cosa succede invece per chi è libera professionista. Quali diritti (non) ci sono. Avevo raccolto diverse esperienze da pubblicare e selezionato i siti informativi più autorevoli in merito.

Poi è successa una cosa.

Così ho deciso di cambiare programma, mettere per un momento da parte tutto e scrivere con il cuore.

È successo che mi è comparso davanti agli occhi un articolo su come ottimizzare il tempo dell’allattamento (o del biberon, a seconda delle situazioni) nelle prime fasi di vita del bambino e rientrare presto al lavoro.
In sintesi: subito dopo il parto, con una mano puoi nutrire la tua creaturina mentre con l’altra puoi essere operativa al pc rispondendo alle mail, creando progetti, stare al telefono con capo, colleghi e clienti.
Durante l’allattamento, uno dei momenti più delicati proprio nelle prime fasi di vita.

Avete capito bene?

Ciò che avrei voluto scrivere sulla maternità era proprio che ogni cosa va contro il prendersi del tempo per la cura di se’ e del proprio figlio. Ogni nuova normativa non va nella direzione della vera tutela della donna e mamma, ma nella direzione del lavorare il più possibile. Durante la gravidanza, dopo la gravidanza, durante il parto magari. Perché no, del resto per diverse ore le mani sono entrambe libere e qualche scema in senso buono (come me) finisce davvero per rispondere ad un paio di mail.

Prendersi del tempo, e parlo di quello che spetterebbe ad ogni neo mamma, in questa società è a volte considerata una colpa.
Attenzione: lo stesso discorso vale per ogni momento di fragilità della vita. Una malattia, un infortunio, un lutto, una delusione. Fragilità non solo del corpo, anche dell’anima.
Non è più permesso essere fragili e rallentare o addirittura fermarsi per un periodo.

A maggior ragione per chi è incinta e diventa mamma. Quando alla fine tutto va bene è un avvenimento bello, felice, quindi ancora di più è una colpa prendersi del tempo.

Bisogna fare, correre, andare, ricominciare.
È quasi impossibile rallentare quando cresci in un mondo che ti fa sentire immediatamente in difetto.
Durante la gravidanza, se in alcune giornate proprio non riuscivo ad essere produttiva, subito qualcuno mi ricordava che non avevo fatto niente e avrei invece avuto tempo.
La stessa cosa è successa più volte dopo il parto.

Come a me, a tantissime altre donne che so essersi trovate esattamente nella stessa situazione.

Portare avanti una gravidanza, partorire, crescere un neonato non è fare niente. È una cosa enorme. Meravigliosa, sì. Che richiede un impegno psicologico e fisico gigantesco.

Tornando a quell’articolo, e peccato non fosse firmato altrimenti avrei cercato di rintracciare chi lo ha scritto, allattare (al seno o con il biberon) non significa avere del tempo libero.
Qualunque mamma, con quella famosa mano libera, farà spesso qualcosa d’altro senza che nessuno debba suggerirlo, perché qualunque mamma si trova a fare anche cinque attività in contemporanea.
Anche lavorare quando una se la sente. Ma la scelta deve essere libera.

Ciò che ritengo profondamente sbagliato è che gli input esterni siano tutti verso il continuare a correre.
I bambini di oggi (e il motivo per cui ne nascono sempre meno è sotto il nostro naso) sono gli adulti di domani. Le basi che vengono messe dai genitori, o dalla famiglia in generale, nei primi giorni, mesi, anni di vita possono fare la differenza rispetto alla persona che crescerà.
La società dovrebbe insegnare che prendersi del tempo per accudire un bambino è fondamentale.
La società invece insegna che è meglio fare alla svelta, perché se ti fermi un attimo in più potresti ritrovarti senza un lavoro. E allora come la manterrai in futuro quella piccola persona?

Il mio augurio per questo Natale è rivolto a chiunque stia attraversando una fase di fragilità della propria vita: se puoi rallenta e prenditi del tempo. Un domani ti guarderai indietro e ti ringrazierai per averlo fatto.

Quando è stata l’ultima volta?

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

A passeggio con il passeggino. Un invito a riflettere sulle barriere architettoniche

A passeggio con il passeggino. Un invito a riflettere sulle barriere architettoniche

Avvertenza

Pezzo caldamente suggerito a chiunque abbia anche solo lontanamente a che fare con la progettazione, ristrutturazione, riqualificazione di strade, marciapiedi, locali pubblici, negozi, chiese, case, giardini, piazze, città, pianeti, galassie.
 

Avvertenza bis

Ciò che segue vuole essere uno spunto di riflessione, con un pizzico di ironia, per chi può fare qualcosa per agevolare la complessa vita quotidiana di molti esseri umani.
 
Se tu che leggi non hai idea di cosa significhi andare a fare una passeggiata con un neonato, provo a spiegarlo.
 
Se invece sei una mamma (o papà, nonna, babysitter, zia…) sai benissimo di cosa parlo. Puoi quindi saltare questo punto e passare alla casella successiva. Come il gioco dell’oca.
 
 
 
 
Dunque, nemmeno io prima della nascita di mia figlia mi rendevo conto al cento percento di cosa volesse dire uscire con un bimbo. Cioè fare tutte quelle attività giornaliere ma con l’aggiunta di un mini umano assolutamente non autonomo a seguito.
 
Vorrei accendere i riflettori sulla difficoltà del muoversi con una carrozzina. I riflettori da accendere sarebbero tanti tantissimi, che salotti di Barbara D’Urso e programmi di Maria De Filippi levatevi.
È però impossibile parlare proprio di tutte le situazioni. Ci vorrebbero un paio d’ore di scrittura e altrettante di lettura. Troppe per me che continuo a non dormire e per chi deve leggere fino in fondo. Mi concentrerò su alcuni aspetti, basandomi sulla mia esperienza e riservandomi una seconda puntata. Vabbè, potrei anche dare il via ad una fiction della lunghezza di Beautiful, visto l’argomento.
 
Il livello di difficoltà del muoversi con un bambino piccolo (c’è chi ne ha di più quindi bisogna moltiplicare) è pari a quello del riuscire a risolvere il cubo di Rubik. Al buio.
 

Spoiler

I neonati mangiano circa ogni tre ore. Vanno lavati e cambiati quando si sporcano quindi primadopodurante ogni poppata o biberon. Bisogna vestirli e spogliarli e rivestirli nel caso in cui il contenuto del pannolino fuoriesca.
Prima di uscire è quindi necessario programmare tutto ciò.
 
 
 
 
 
In base alla legge di Murphy, solitamente accade che quando sei stata in grado di far combaciare ogni cosa con l’orario di uscita, la creatura si vomiti addosso, o sui tuoi vestiti (tra l’altro gli unici puliti che hai), richieda di essere lavata e cambiata dalla testa ai piedi, abbia un incontrollabile attacco di fame e pianga anche per i tuoi errori passati di dieci anni fa.
 
Non raramente fuori inizia a piovere, il telefono squilla e devi smontare e montare la carrozzina dentro e fuori dalla macchina che avevi comprato quando dovevi portare solo la spesa della settimana. Con il baule capiente quanto il sottosella del motorino dell’adolescenza.
È comprensibile immaginare che la madre, quando riesce a varcare la soglia di casa, debba già fare i conti con il proprio sistema nervoso leggermente compromesso.
 
 

Ecco qualche idea degli ostacoli cui ci si trova di fronte

 
– Quasi nessun marciapiede è connesso per più di 50 metri
 
– Quando ci sono i sacchetti o i bidoni della differenziata devi scegliere se farti crescere le ali e volare, oppure rischiare la vita lanciandoti in strada
 
– Quando non c’è la spazzatura c’è la siepe del vicino che sporge per la distanza Marte-Venere
 
– Chi taglia l’erba spesso lascia gli sfalci sul bordo dell’unico marciapiede che era connesso per cinquantuno metri
 
– Sui marciapiedi connessi per cinquantadue metri trovi invece l’individuo che ci ha parcheggiato sopra con un Suv delle dimensioni del Titanic
 
– Nella maggior parte delle chiese puoi scordarti di entrare a meno che non ci sia un aiuto e non divino
 
– I bar che frequentavi sono off limits perché non c’è posto sul tavolo se per sbaglio ordini la brioche oltre al caffè, figurati per un passeggino
 
– I negozi meglio scordarli, a meno che tu non voglia rischiare di agganciare per sbaglio il vestito più costoso (che tanto non ti puoi permettere), dati i quindici centimetri di spazio tra un espositore e l’altro, e trascinarlo sotto le ruote
 
– Nei ristoranti dovrai chiamare per tempo, avvisando che arriverai con una carrozzina con lo stesso preavviso e la medesima cautela con cui speravi che tua madre ti avvisasse prima di tornare dalle vacanze estive la prima volta che ti ha lasciato a casa da sola
 
– Le ruote si incastreranno nelle buche dell’asfalto o nei ciottoli e ad un certo punto penserai di mollare tutto (il bambino no, è costato molta fatica) e metterti a piangere
 
– Per entrare in banca dovrai fare la chiamata speciale con il pulsante che non funziona, e comunque ti diranno che il saldo è più basso di ciò che speravi
 
– Fare una commissione negli enti e negli uffici pubblici sì ma solo al piano zero, che l’ascensore mica è da tutti nel 2019 e poi insomma è colpa tua se ti sei portata dietro la creatura
 
 
 
 
 
Uscire con un neonato richiede una buona dose di coraggio. Di certo però potrai non rinnovare l’abbonamento della palestra.
Quello dallo psicanalista invece meglio di sì.
 
 
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Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Ad un mese dal parto racconto l’esperienza all’ospedale di Mantova, con qualche consiglio ed una scelta importante

Ad un mese dal parto racconto l’esperienza all’ospedale di Mantova, con qualche consiglio ed una scelta importante

Ciò che avrei voluto leggere o sentirmi raccontare da un’amica, prima del parto.
 
Doverosa premessa: sto scrivendo mentre allatto la creatura, ho gli occhi gonfi dal sonno e pure una certa fame.
 
Mi sembra incredibile, ma è passato un mese dalla nascita di mia figlia Beatrice. Sarà che a non dormire più si perde la concezione del tempo.. O che si viene inghiottite da un vortice di novità. Ho deciso di raccontare parte della mia esperienza all’ospedale Carlo Poma di Mantova, tralasciando i dettagli intimi, aggiungendo qualche consiglio.
 
 
Come quasi tutte le donne ho vissuto gran parte della gravidanza a temere quanto basta il momento del parto. Oggi invece, a distanza di trenta giri della Terra, ho dei momenti in cui vorrei farlo di nuovo ed altri in cui mi manca la pancia. A questo punto è già chiaro che il mio cervello ha subito qualche danno causato dagli ormoni.
 

Le principali domande, cioè preoccupazioni se non a tratti vero e proprio terrore, che mi sono posta nei nove mesi

– Quando succederà? Al termine, prima o dopo? La mia gravidanza durerà quanto quella di un elefante?
– Si romperanno le acque mentre mi trovo al supermercato a decidere se ingrassare con le Gocciole o con i Baiocchi?
– Riuscirò a sopportare il dolore come Xena la principessa guerriera nella puntata in cui viene ferita da Giove? Oppure chiederò se è possibile far partorire un’altra al posto mio?
– Mi sentirò in imbarazzo?
– La bambina avrà davvero tutte le dita delle mani e dei piedi come mi ha garantito la ginecologa?
– Il personale medico mi tratterà bene o finirò come quelle ragazze che hanno avuto pessime esperienze?
– Soprattutto: forse era meglio spendere un po’ di più per i pigiami acquistati come outfit ospedaliero considerando che mai rivedrò così tanti parenti e amici tutti insieme?
 
 
Insomma gli interrogativi erano infiniti. Le risposte pari a zero.
Una costante nella vita.
 

In ospedale

Avevo il termine il 10 ottobre. Gli ultimi giorni del nono mese sono durati circa centoventisei ore ciascuno.
Il 9 pomeriggio inizio a percepire qualcosa di strano. Qualcosa che somigliava alle contrazioni. La reazione a caldo è stata: Aspetta che chiedo prima ad un’amica se è proprio così. Ok è così. Oddio. Aiuto. Ci siamo. Non voglio farlo. Brutta idea questa faccenda del parto. Facciamo che non partorisco proprio, sono a posto così grazie. Per favore resta nella pancia. Stato d’animo proseguito fino alla nascita.
 
 
Il fastidio è diventato man mano dolore (mi baso su una scala del dolore femminile, perché su scala maschile era equivalente alla morte imminente). La sera del 9 intorno alle 22 decido con il mio compagno di andare in ospedale, al Poma di Mantova. Mi viene fatta circa un’ora di tracciato oltre alla visita. Mi dicono che è troppo presto, le contrazioni sono ogni cinque minuti e devono arrivare almeno ad ogni due. Verso mezzanotte mi invitano a tornare a casa e farmi una doccia calda. Mi fido e vado a casa, ma senza riuscire nemmeno a spogliarmi.
 
Un’ora dopo sono di nuovo in ospedale.
 
Il tracciato questa volta dura di più. Decidono di ricoverarmi. Verso le 4 mi mettono in reparto, in una stanza dove c’erano due neomamme con i bimbi. E mi chiedo se non ci possa essere un’area riservata alle donne in travaglio, in modo che non debbano stare nel letto accanto a chi ha appena partorito. Intorno alle 7, su mia richiesta, vengo visitata e spostata in sala parto senza nemmeno darmi il tempo di recuperare la borsa con portafoglio e documenti.
 

In sala parto

In sala parto ci arrivo spaventata e trovo degli angeli: le ostetriche. Professioniste che ho ringraziato pubblicamente anche con una lettera sulla Gazzetta di Mantova. Dal purgatorio al paradiso insomma.
 
 
Mi accolgono, mi rassicurano, mi trattano come se mi volessero bene. Dopo i primi controlli e the caldo con biscotti (non li volevo ma li ho divorati), mi accompagnano nella stanza in cui avrei visto mia figlia per la prima volta. Una stanza con letto, bagno, strumentazioni. Durante il travaglio mi vengono offerti assistenza costante, ascolto, cibo, possibilità di scelta per ogni dettaglio. Un unico intoppo: qualcosina deve non aver funzionato al meglio con l’epidurale (che non volevo fare ma poi cuor di leone ho cambiato idea) perché ad un certo punto mi si è addormentata buona parte del corpo e non riuscivo più a camminare.
 
Alla fine della lunga giornata, alle 20.57 è nata Beatrice.
Nota importante: ho donato il cordone ombelicale. Una scelta importante e sotto spiego meglio di cosa si tratta.
 
 
 

Un elenco di cosa portare nella borsa per l’ospedale

I miei suggerimenti:
 
– Shampoo a secco (comodo per non sentirsi pronte per la spremitura dei capelli dopo i primi due giorni)
– Salviette disinfettanti per il bagno (bagno da condividere con più persone estranee)
– Ciabatte per stare in stanza e ciabatte per la doccia (entrambi i paia eventualmente da buttare prima del ritorno a casa)
– Diversi asciugamani per il bidet (anche questi che si possano poi buttare)
– Un plaid (se la stagione è fredda, ad agosto andrà benone il lenzuolo fornito dall’ospedale)
– Un cuscino comodo
– Un carica batteria portatile (le prese non sempre sono accanto al letto ma distante)
– Gli auricolari
– Acqua (vedi sopra..)
– Uno spuntino gustoso per tirarsi su di morale la prima notte
 
 
 
 
Tutti gli esami eseguiti nel corso della gravidanza
– Documenti
– Effetti personali per mamma e bambino
– Abbigliamento intimo comodo per il travaglio e l’allattamento
– Calzini
– Reggiseno adatto all’allattamento e slip comodi che consentano l’utilizzo di assorbenti
– Prodotti per l’igiene personale
– Eventuali farmaci assunti a domicilio
– Quattro-sei cambi di abbigliamento per il neonato, adeguati alla stagione in corso
– Bavaglini
– Cuffietta e Calzine
– Busta con cognome e nome della mamma, contente un cambio completo da consegnare agli operatori al momento del parto.
 
 

La scelta di cuore di donare il cordone ombelicale

È possibile donare il sangue cordonale al termine del parto, dopo che il cordone ombelicale del bambino è stato reciso. Nei vasi cordonali rimane un po’ di sangue generalmente considerato prodotto di scarto. Questo sangue è invece ricco di cellule staminali che possono essere utilizzate per il trapianto di pazienti con leucemia o altre gravi malattie del sangue.
 
Se viene raccolto, la banca del sangue cordonale lo conserva per anni, restando a disposizione per le persone che necessitano di trapianto. Si può chiedere di donare volontariamente e gratuitamente il sangue cordonale. È una scelta libera, personale e volontaria, che non comporta rischi né per la donna né per il bambino.
 
Per farlo è sufficiente contattare l’associazione Abeo di Mantova e prendere appuntamento intorno alle 36/38 settimane di gravidanza per un colloquio e compilazione dei documenti con la biologa.
 
Poco tempo per fare una cosa grande.
 
 
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Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Toxoplasmosi e gravidanza. Come sopravvivere (soprattutto agli esseri umani) quando hai un gatto

Toxoplasmosi e gravidanza. Come sopravvivere (soprattutto agli esseri umani) quando hai un gatto

C’è una parola, o meglio dire una minaccia, che ogni donna sente pronunciare appena rimane incinta. Toxoplasmosi.

Come sopravvivere quando si abita con un gatto? No, non solo come sopravvivere al micio, ma in particolare agli esseri umani che ti diranno che devi liberarti dell’animale. Il felino che ami di più al mondo.

Qui sotto trovate una selezione di risposte severe ma giuste, da usare a piacimento. E qualche indicazione pratica.

Facciamo però un passo indietro. Toxoplasmosi. Dodici lettere che non avevi considerato nella tua vita, finché non ti ritrovi a chiederti se sei immune oppure no.

Per scoprirlo c’è un semplice esame del sangue da fare, uno dei primi del lungo lunghissimo elenco che ti aspetta durante i nove mesi.

Se il risultato è positivo, ovvero se hai la fortuna di aver già fatto i conti con il batterio (di solito nessuno se ne accorge, a meno che non vengano fatte le analisi specifiche per verificarlo), allora tutto a posto. Almeno per questa singola potenziale preoccupazione.

La Toxoplasmosi, per gli amici toxo, senza voler entrare nello specifico e invadere competenze mediche è una malattia provocata dall’infezione di un parassita, trasmettibile all’uomo attraverso animali come i gatti, il cibo, i vegetali contaminati.

Bene. Se il risultato è quindi negativo, ovvero non sei immune e c’è il rischio che tu possa prenderti la toxo durante la gravidanza, ecco che dovrai ripetere gli esami ogni mese e l’ansia sarà la tua amica quotidiana.

Va beh, è chiaro che l’ansia non ti abbandonerà in ogni caso finché non avrai la totale certezza che la tua creatura stia bene e sia in salute e che tu abbia fatto di tutto per proteggerla. Insomma, fino a che non avrà almeno diciottoventanni.

Dicevo…? Sì, tra le mille angosce giornaliere ci sarà quella che riguarda la toxo.

Gli affettati e qualunque genere di carne cruda saranno banditi nella stessa misura in cui Robin Hood venne allontanato dal Regno di Nottingham.

Stessa sorte toccherà ai vegetali crudi. Off limits, a meno che non siano prima stati lavati con Amuchina. Procedura che richiede di essere a casa propria, una buona dose di tempo (in base alle istruzioni, il vegetale deve stare a bagno circa mezz’ora) e la speranza di non procurarsi un principio di avvelenamento. Arrivata alla fine dei nove mesi, io credo di essere fatta per l’80% di Amuchina.

Perché quando ti illustrano i danni che la toxo può procurare all’esserino che ti stai impegnando con tutta te stessa a portare al mondo, non sei mai abbastanza sicura di aver lavato la verdura a sufficienza. Oppure di mangiare carne abbastanza cotta. Risultato: al ristorante blocchi il cameriere con un terzo grado nemmeno fossi diventata un’allieva di Quantico in missione.

Veniamo ai gatti. La realtà, almeno in base a quanto detto dai medici che ho consultato, è che sia maggiore la probabilità di prendere la toxo da un’insalata appena raccolta dalla terra dell’orto del nonno (beato chi ha un nonno con l’orto) che dalla convivenza con un gatto. Se il gatto non esce, la possibilità si assottiglia quasi allo zero. Se il gatto se ne va in giro, è comunque una eventualità non così frequente.

Per quanto tu, ad esempio io, possa essere dieciquindici anni che stai a contatto (stretto contatto) con il felino domestico, e per quanto una volta saputo di essere incinta e non immune tu possa aver preso tutte le precauzioni possibili (pulire la lettiera con guanti, procurarti salviette per il pelo, no baci), troverai sempre qualche persona che se ne uscirà con un parere assolutamente non richiesto.

Per te è una sofferenza trattenerti dall’affogare la faccia e i dispiaceri della giornata nella morbida, calda, accogliente pelliccia dell’animale tutto fusa. Lo è anche evitare che zampetti nella zona del tuo cuscino, resistendo a quegli occhioni che sembrano chiederti “Umana scusa, perché mi stai facendo questo? Dormivamo appiccicati fino a ieri, tu ed io”.

Avere poi a che fare con chi parla senza sapere è veramente troppo per il tuo sistema nervoso già compromesso.

Le frasi (storie di vita vissuta) che potresti sentirti dire se hai un gatto e aspetti un figlio… E qualche ottimo spunto di risposta

“Forse dovresti liberarti del gatto” Forse dovrei liberami di te.

“Sei sicura che non sia meglio tenerlo sempre fuori casa ora, vista la situazione?” In realtà mi chiedo perché ho fatto entrare te, in casa.

“Adesso che sei incinta lo lavi bene prima di toccarlo, giusto?” Certo, un po’ di Amuchina sui pomodori, un po’ sul pelo del micio e via.

“Magari non è stata una cosa saggia prendere un gatto se poi sapevi di volere figli” Tralasciando che il gatto ce l’ho da quando avevo diciassette anni, magari non è una cosa saggia stare qui a parlare con te.

“Oddio ma adesso che nasce la bambina come farai per il contatto con il gatto?” Guarda, la fortuna è che mia figlia non dovrà avere contatti con te.

“Conoscevo una con un gatto ed un bimbo piccolo, e il gatto ha cercato consapevolmente più volte di soffocare il bambino” Beh è risaputo che i piccoli felini siano spietati serial killer mandati per sterminare la razza umana, è normale inizino dai neonati. Comunque stai attento, perché il mio gatto ti sta fissando.

Alcune indicazioni pratiche che ho seguito come prevenzione alla Toxoplasmosi

Non baciare il gatto

Usare dei guanti (vanno bene in lattice) per pulire la lettiera

Evitare di far dormire il gatto molto vicino al mio cuscino del letto

Lavare bene e spesso le mani

Lavare con Amuchina ogni genere di verdura, se da magiare cruda

Lavare con Amuchina la frutta da mangiare con la buccia

Non mangiare fuori casa frutta o verdura cruda

Cuocere molto bene la carne, meglio troppo cotta che forse non abbastanza

Non mangiare affettati, concessi solo quelli cotti ad esempio sulla pizza una volta ogni tanto

 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.