Ciò che avrei voluto leggere o sentirmi raccontare da un’amica, prima del parto.
Doverosa premessa: sto scrivendo mentre allatto la creatura, ho gli occhi gonfi dal sonno e pure una certa fame.
Mi sembra incredibile, ma è passato un mese dalla nascita di mia figlia Beatrice. Sarà che a non dormire più si perde la concezione del tempo.. O che si viene inghiottite da un vortice di novità. Ho deciso di raccontare parte della mia esperienza all’ospedale Carlo Poma di Mantova, tralasciando i dettagli intimi, aggiungendo qualche consiglio.
Come quasi tutte le donne ho vissuto gran parte della gravidanza a temere quanto basta il momento del parto. Oggi invece, a distanza di trenta giri della Terra, ho dei momenti in cui vorrei farlo di nuovo ed altri in cui mi manca la pancia. A questo punto è già chiaro che il mio cervello ha subito qualche danno causato dagli ormoni.
Le principali domande, cioè preoccupazioni se non a tratti vero e proprio terrore, che mi sono posta nei nove mesi
– Quando succederà? Al termine, prima o dopo? La mia gravidanza durerà quanto quella di un elefante?
– Si romperanno le acque mentre mi trovo al supermercato a decidere se ingrassare con le Gocciole o con i Baiocchi?
– Riuscirò a sopportare il dolore come Xena la principessa guerriera nella puntata in cui viene ferita da Giove? Oppure chiederò se è possibile far partorire un’altra al posto mio?
– Mi sentirò in imbarazzo?
– La bambina avrà davvero tutte le dita delle mani e dei piedi come mi ha garantito la ginecologa?
– Il personale medico mi tratterà bene o finirò come quelle ragazze che hanno avuto pessime esperienze?
– Soprattutto: forse era meglio spendere un po’ di più per i pigiami acquistati come outfit ospedaliero considerando che mai rivedrò così tanti parenti e amici tutti insieme?
Insomma gli interrogativi erano infiniti. Le risposte pari a zero.
Una costante nella vita.
In ospedale
Avevo il termine il 10 ottobre. Gli ultimi giorni del nono mese sono durati circa centoventisei ore ciascuno.
Il 9 pomeriggio inizio a percepire qualcosa di strano. Qualcosa che somigliava alle contrazioni. La reazione a caldo è stata: Aspetta che chiedo prima ad un’amica se è proprio così. Ok è così. Oddio. Aiuto. Ci siamo. Non voglio farlo. Brutta idea questa faccenda del parto. Facciamo che non partorisco proprio, sono a posto così grazie. Per favore resta nella pancia. Stato d’animo proseguito fino alla nascita.
Il fastidio è diventato man mano dolore (mi baso su una scala del dolore femminile, perché su scala maschile era equivalente alla morte imminente). La sera del 9 intorno alle 22 decido con il mio compagno di andare in ospedale, al Poma di Mantova. Mi viene fatta circa un’ora di tracciato oltre alla visita. Mi dicono che è troppo presto, le contrazioni sono ogni cinque minuti e devono arrivare almeno ad ogni due. Verso mezzanotte mi invitano a tornare a casa e farmi una doccia calda. Mi fido e vado a casa, ma senza riuscire nemmeno a spogliarmi.
Un’ora dopo sono di nuovo in ospedale.
Il tracciato questa volta dura di più. Decidono di ricoverarmi. Verso le 4 mi mettono in reparto, in una stanza dove c’erano due neomamme con i bimbi. E mi chiedo se non ci possa essere un’area riservata alle donne in travaglio, in modo che non debbano stare nel letto accanto a chi ha appena partorito. Intorno alle 7, su mia richiesta, vengo visitata e spostata in sala parto senza nemmeno darmi il tempo di recuperare la borsa con portafoglio e documenti.
In sala parto
In sala parto ci arrivo spaventata e trovo degli angeli: le ostetriche. Professioniste che ho ringraziato pubblicamente anche con una lettera sulla Gazzetta di Mantova. Dal purgatorio al paradiso insomma.
Mi accolgono, mi rassicurano, mi trattano come se mi volessero bene. Dopo i primi controlli e the caldo con biscotti (non li volevo ma li ho divorati), mi accompagnano nella stanza in cui avrei visto mia figlia per la prima volta. Una stanza con letto, bagno, strumentazioni. Durante il travaglio mi vengono offerti assistenza costante, ascolto, cibo, possibilità di scelta per ogni dettaglio. Un unico intoppo: qualcosina deve non aver funzionato al meglio con l’epidurale (che non volevo fare ma poi cuor di leone ho cambiato idea) perché ad un certo punto mi si è addormentata buona parte del corpo e non riuscivo più a camminare.
Alla fine della lunga giornata, alle 20.57 è nata Beatrice.
Nota importante: ho donato il cordone ombelicale. Una scelta importante e sotto spiego meglio di cosa si tratta.
Un elenco di cosa portare nella borsa per l’ospedale
I miei suggerimenti:
– Shampoo a secco (comodo per non sentirsi pronte per la spremitura dei capelli dopo i primi due giorni)
– Salviette disinfettanti per il bagno (bagno da condividere con più persone estranee)
– Ciabatte per stare in stanza e ciabatte per la doccia (entrambi i paia eventualmente da buttare prima del ritorno a casa)
– Diversi asciugamani per il bidet (anche questi che si possano poi buttare)
– Un plaid (se la stagione è fredda, ad agosto andrà benone il lenzuolo fornito dall’ospedale)
– Un cuscino comodo
– Un carica batteria portatile (le prese non sempre sono accanto al letto ma distante)
– Gli auricolari
– Acqua (vedi sopra..)
– Uno spuntino gustoso per tirarsi su di morale la prima notte
Tutti gli esami eseguiti nel corso della gravidanza
– Documenti
– Effetti personali per mamma e bambino
– Abbigliamento intimo comodo per il travaglio e l’allattamento
– Calzini
– Reggiseno adatto all’allattamento e slip comodi che consentano l’utilizzo di assorbenti
– Prodotti per l’igiene personale
– Eventuali farmaci assunti a domicilio
– Quattro-sei cambi di abbigliamento per il neonato, adeguati alla stagione in corso
– Bavaglini
– Cuffietta e Calzine
– Busta con cognome e nome della mamma, contente un cambio completo da consegnare agli operatori al momento del parto.
La scelta di cuore di donare il cordone ombelicale
È possibile donare il sangue cordonale al termine del parto, dopo che il cordone ombelicale del bambino è stato reciso. Nei vasi cordonali rimane un po’ di sangue generalmente considerato prodotto di scarto. Questo sangue è invece ricco di cellule staminali che possono essere utilizzate per il trapianto di pazienti con leucemia o altre gravi malattie del sangue.
Se viene raccolto, la banca del sangue cordonale lo conserva per anni, restando a disposizione per le persone che necessitano di trapianto. Si può chiedere di donare volontariamente e gratuitamente il sangue cordonale. È una scelta libera, personale e volontaria, che non comporta rischi né per la donna né per il bambino.
Per farlo è sufficiente contattare l’associazione Abeo di Mantova e prendere appuntamento intorno alle 36/38 settimane di gravidanza per un colloquio e compilazione dei documenti con la biologa.
Poco tempo per fare una cosa grande.
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.
Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme.
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