Aiuta anche tu l’ospedale di Mantova con una donazione – Combattiamo insieme l’emergenza sanitaria Coronavirus

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Perché donare

Non credo servano molte spiegazioni. L’emergenza è seria e reale.

Non bisogna pensare di essere immuni o che non possa capitare qualcosa ad un nostro genitore, a nostro figlio, ad un nostro amico. Non solo nell’ambito del Coronavirus, ma per qualunque esigenza che richieda cure mediche.

La sanità è in sofferenza e anche tu, come me e come tutti, puoi essere di aiuto.

I soldi hanno una destinazione certa e sicura, quindi non ci sono scuse.

La raccolta fondi su GoFundMe organizzata da Valentina Tomirotti per l’ospedale Poma

Aiutiamo l’Ospedale di Mantova a combattere l’emergenza sanitaria del Coronavirus con una piccola donazione!

“L’Ospedale di Mantova “C. Poma” in queste settimane è il punto di riferimento per l’epidemia Coronavirus che sta interessando il nostro territorio. I continui casi giornalieri mettono in difficoltà il sistema sanitario ed è arrivato il momento di aiutare concretamente chi sta salvando vite e si sta occupando dei malati.

Come cittadina mantovana, attraverso la mia Associazione, voglio rendermi utile e chiedo il vostro aiuto per partecipare a questa raccolta fondi per supportare il grandissimo lavoro che stanno portando avanti medici, infermieri e personale sanitario per contrastare questa epidemia.

L’Ospedale C. POMA ha bisogno del nostro aiuto, qualsiasi donazione è importante per diminuire l’affanno in cui ci troviamo.
Anche una piccola donazione può fare la differenza: i fondi raccolti saranno direttamente devoluti all’Ospedale (che è a conoscenza di questa iniziativa)”.

Tutti possiamo fare qualcosa:
doniamo anche solo 5€;
– stiamo a casa rispettando il Decreto ministeriale;
– adottiamo comportamenti responsabili e preventivi divulgati dal Ministero della Salute per non creare ulteriore contagio;

Se si vuole, è possibile effettuare anche un bonifico bancario:

IBAN IT06A0538757820000003098257

Causale: “Emergenza Coronavirus POMA”

INSIEME CE LA FAREMO!
#stiamoacasa

Il post sul profilo Facebook per lanciare la raccolta fondi

Quotidianamente vi racconto cos’è questa epidemia #coronavirus vissuta da una delle “zone rosse”.
Non voglio essere più solo una voce che racconta, ma voglio fare qualcosa di concreto per la mia città e ho deciso di fare l’unica cosa che sono in grado di fare nell’immediato: alzare la mano e chiedere aiuto per supportare il nostro ospedale.
Ho attivato una raccolta fondi per sostenere il nostro ospedale “Poma” di #Mantovagf.me/u/xqaxqm
Come cittadina mantovana, voglio rendermi utile e chiedo il vostro aiuto per partecipare a questa raccolta per supportare il grandissimo lavoro che stanno portando avanti medici, infermieri e personale sanitario per contrastare questa epidemia.
Per dire Grazie e per contribuire a supportare l’affanno sanitario di questo momento, c’è bisogno di tutti Noi.

Restiamo a casa e doniamo!
#fermiamoloinsieme
#perdire

L’associazione “Pepitosa in Carrozza” di Valentina Tomirotti

L’Associazione “Pepitosa in carrozza” – come si legge nella presentazione del progetto – nasce nell’agosto del 2019, dall’idea di Valentina Tomirotti, giornalista mantovana e attivista del mondo della disabilità comunicato fuori dagli schemi. Pepitosa in carrozza nasce come conseguenza di un’esigenza di aver fame del mondo, ma di odiare le sorprese delle barriere architettoniche, di avere un unico contenitore di notizie turistiche che riguardano gli
itinerari, le strutture ricettive e di accoglienza, gli eventi, i mezzi di trasporto per raggiungere il luogo.
Pepitosa in carrozza si occupa di garantire un racconto continuo sulla realtà dei fatti per non avere sorprese di accessibilità in giro per il mondo.
Grazie a questa Associazione, la promozione turistica potrà aprirsi a nuovi canali di comunicazione e raggiungere ogni utente.

LA MISSIONE
Ci siamo posti come obiettivo quello di diventare un punto di riferimento del turismo accessibile per chi ha una disabilità motoria e vive in carrozzina.
Mapparemo il territorio sull’accessibilità e creeremo guide turistiche scaricabili sul proprio smartphone.

OBIETTIVI
+ Ogni anno vorremo compiere 3 viaggi da raccontare, da trasformare in guide turistiche;
+ Attraverso l’uso della Pepitosa mobile, programmare uno streaming itinerante che racconti il luogo
attraverso le persone che vogliono salire a bordo per diffonderlo;
+ Creare un incontro pubblico sul tema del turismo accessibile coinvolgendo gli studenti.

FAI UNA DONAZIONE ALL’OSPEDALE CARLO POMA DI MANTOVA 

 

 

Donare il cordone ombelicale è una scelta d’amore

Donare il cordone ombelicale è una scelta d’amore

Forse non lo sai, oppure ne hai sentito parlare ma non ti sei mai informata/o fino in fondo: il cordone ombelicale contiene delle cellule preziosissime, ed è possibile donarlo.

Se sei incinta, se pensi di volere un figlio o se conosci qualche futuro genitore, contribuisci a diffondere questa possibilità che può salvare una vita.

In un articolo di qualche tempo fa sulla mia esperienza nell’ospedale di Mantova durante il parto, avevo fatto un accenno a questo argomento.

Ho voluto metterlo in evidenza dopo aver parlato con un’amica incinta, che non donerà il cordone del suo bambino perché qualcuno le ha detto che può rappresentare un rischio per il neonato.

Un’informazione non vera: non esistono rischi. Esiste solo una scelta di cuore a costo zero.

Una scelta che io ho fatto e che qualunque genitore, se mamma e bimbo stanno bene, può fare. Sarà bellissimo poter raccontare ai propri figli questo atto di amore e altruismo all’istante della loro nascita.

Perché donare il cordone ombelicale

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche raccolte dal midollo osseo, dal sangue periferico e dal sangue del cordone ombelicale, rappresenta oggi l’unica terapia salvavita di successo per curare numerose malattie del sangue.

È possibile donare il sangue cordonale al termine del parto, dopo che il cordone ombelicale del bambino è stato reciso. Nei vasi cordonali rimane un po’ di sangue generalmente considerato prodotto di scarto. Questo sangue è invece ricco di cellule staminali che possono essere utilizzate per il trapianto di pazienti con leucemia o altre gravi malattie del sangue.

Se viene raccolto, la banca del sangue cordonale lo conserva per anni, restando a disposizione per le persone che necessitano di trapianto. Si può chiedere di donare volontariamente e gratuitamente il sangue cordonale.

È una scelta libera, personale e volontaria, che non comporta rischi né per la donna né per il bambino.

Cosa fare per donare il cordone

  • Se abiti in provincia di Mantova, per farlo è sufficiente contattare l’associazione Abeo di Mantova e prendere appuntamento intorno alle 36/38 settimane di gravidanza per un colloquio con la biologa.

Una volta preso appuntamento, basterà dedicare circa un’ora del proprio tempo per compilare dei documenti e rispondere ad alcune domande, che servono per accertare uno stato di salute idoneo di mamma e bambino.

  • Se risiedi in un’altra città/provincia, puoi fare riferimento all’ospedale del tuo territorio per chiedere informazioni, oppure contattare l’associazione di volontariato più vicina a te che si occupi del dono (come Admo o Avis).

Poco tempo per fare una cosa grande.

Abeo Donazione

È il programma di Abeo Mantova che si occupa di informare e sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza e sul valore della donazione di cellule staminali.
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche raccolte dal midollo osseo, dal sangue periferico e dal sangue del cordone ombelicale, rappresenta oggi l’unica terapia salvavita di successo per curare numerose malattie del sangue.

La probabilità di trovare un donatore compatibile è molto bassa: 25% tra fratelli, solo 1 su 100.000 tra non consanguinei. Ogni anno in Italia si contano 1.500 malati di leucemia e il 70% di questi sono giovani e bambini. Nella maggior parte dei casi, trovare un donatore compatibile è l’unica speranza di guarigione: ogni anno muoiono 100 bambini malati di leucemia, proprio perché non trovano un donatore.

Se ad essere malata fosse una persona a te cara, vorresti senza dubbio che tutte le mamme del mondo donassero il sangue cordonale dei propri bimbi.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

Clicca QUI per sapere cosa posso fare per te!

Ad un mese dal parto racconto l’esperienza all’ospedale di Mantova, con qualche consiglio ed una scelta importante

Ad un mese dal parto racconto l’esperienza all’ospedale di Mantova, con qualche consiglio ed una scelta importante

Ciò che avrei voluto leggere o sentirmi raccontare da un’amica, prima del parto.
 
Doverosa premessa: sto scrivendo mentre allatto la creatura, ho gli occhi gonfi dal sonno e pure una certa fame.
 
Mi sembra incredibile, ma è passato un mese dalla nascita di mia figlia Beatrice. Sarà che a non dormire più si perde la concezione del tempo.. O che si viene inghiottite da un vortice di novità. Ho deciso di raccontare parte della mia esperienza all’ospedale Carlo Poma di Mantova, tralasciando i dettagli intimi, aggiungendo qualche consiglio.
 
 
Come quasi tutte le donne ho vissuto gran parte della gravidanza a temere quanto basta il momento del parto. Oggi invece, a distanza di trenta giri della Terra, ho dei momenti in cui vorrei farlo di nuovo ed altri in cui mi manca la pancia. A questo punto è già chiaro che il mio cervello ha subito qualche danno causato dagli ormoni.
 

Le principali domande, cioè preoccupazioni se non a tratti vero e proprio terrore, che mi sono posta nei nove mesi

– Quando succederà? Al termine, prima o dopo? La mia gravidanza durerà quanto quella di un elefante?
– Si romperanno le acque mentre mi trovo al supermercato a decidere se ingrassare con le Gocciole o con i Baiocchi?
– Riuscirò a sopportare il dolore come Xena la principessa guerriera nella puntata in cui viene ferita da Giove? Oppure chiederò se è possibile far partorire un’altra al posto mio?
– Mi sentirò in imbarazzo?
– La bambina avrà davvero tutte le dita delle mani e dei piedi come mi ha garantito la ginecologa?
– Il personale medico mi tratterà bene o finirò come quelle ragazze che hanno avuto pessime esperienze?
– Soprattutto: forse era meglio spendere un po’ di più per i pigiami acquistati come outfit ospedaliero considerando che mai rivedrò così tanti parenti e amici tutti insieme?
 
 
Insomma gli interrogativi erano infiniti. Le risposte pari a zero.
Una costante nella vita.
 

In ospedale

Avevo il termine il 10 ottobre. Gli ultimi giorni del nono mese sono durati circa centoventisei ore ciascuno.
Il 9 pomeriggio inizio a percepire qualcosa di strano. Qualcosa che somigliava alle contrazioni. La reazione a caldo è stata: Aspetta che chiedo prima ad un’amica se è proprio così. Ok è così. Oddio. Aiuto. Ci siamo. Non voglio farlo. Brutta idea questa faccenda del parto. Facciamo che non partorisco proprio, sono a posto così grazie. Per favore resta nella pancia. Stato d’animo proseguito fino alla nascita.
 
 
Il fastidio è diventato man mano dolore (mi baso su una scala del dolore femminile, perché su scala maschile era equivalente alla morte imminente). La sera del 9 intorno alle 22 decido con il mio compagno di andare in ospedale, al Poma di Mantova. Mi viene fatta circa un’ora di tracciato oltre alla visita. Mi dicono che è troppo presto, le contrazioni sono ogni cinque minuti e devono arrivare almeno ad ogni due. Verso mezzanotte mi invitano a tornare a casa e farmi una doccia calda. Mi fido e vado a casa, ma senza riuscire nemmeno a spogliarmi.
 
Un’ora dopo sono di nuovo in ospedale.
 
Il tracciato questa volta dura di più. Decidono di ricoverarmi. Verso le 4 mi mettono in reparto, in una stanza dove c’erano due neomamme con i bimbi. E mi chiedo se non ci possa essere un’area riservata alle donne in travaglio, in modo che non debbano stare nel letto accanto a chi ha appena partorito. Intorno alle 7, su mia richiesta, vengo visitata e spostata in sala parto senza nemmeno darmi il tempo di recuperare la borsa con portafoglio e documenti.
 

In sala parto

In sala parto ci arrivo spaventata e trovo degli angeli: le ostetriche. Professioniste che ho ringraziato pubblicamente anche con una lettera sulla Gazzetta di Mantova. Dal purgatorio al paradiso insomma.
 
 
Mi accolgono, mi rassicurano, mi trattano come se mi volessero bene. Dopo i primi controlli e the caldo con biscotti (non li volevo ma li ho divorati), mi accompagnano nella stanza in cui avrei visto mia figlia per la prima volta. Una stanza con letto, bagno, strumentazioni. Durante il travaglio mi vengono offerti assistenza costante, ascolto, cibo, possibilità di scelta per ogni dettaglio. Un unico intoppo: qualcosina deve non aver funzionato al meglio con l’epidurale (che non volevo fare ma poi cuor di leone ho cambiato idea) perché ad un certo punto mi si è addormentata buona parte del corpo e non riuscivo più a camminare.
 
Alla fine della lunga giornata, alle 20.57 è nata Beatrice.
Nota importante: ho donato il cordone ombelicale. Una scelta importante e sotto spiego meglio di cosa si tratta.
 
 
 

Un elenco di cosa portare nella borsa per l’ospedale

I miei suggerimenti:
 
– Shampoo a secco (comodo per non sentirsi pronte per la spremitura dei capelli dopo i primi due giorni)
– Salviette disinfettanti per il bagno (bagno da condividere con più persone estranee)
– Ciabatte per stare in stanza e ciabatte per la doccia (entrambi i paia eventualmente da buttare prima del ritorno a casa)
– Diversi asciugamani per il bidet (anche questi che si possano poi buttare)
– Un plaid (se la stagione è fredda, ad agosto andrà benone il lenzuolo fornito dall’ospedale)
– Un cuscino comodo
– Un carica batteria portatile (le prese non sempre sono accanto al letto ma distante)
– Gli auricolari
– Acqua (vedi sopra..)
– Uno spuntino gustoso per tirarsi su di morale la prima notte
 
 
 
 
Tutti gli esami eseguiti nel corso della gravidanza
– Documenti
– Effetti personali per mamma e bambino
– Abbigliamento intimo comodo per il travaglio e l’allattamento
– Calzini
– Reggiseno adatto all’allattamento e slip comodi che consentano l’utilizzo di assorbenti
– Prodotti per l’igiene personale
– Eventuali farmaci assunti a domicilio
– Quattro-sei cambi di abbigliamento per il neonato, adeguati alla stagione in corso
– Bavaglini
– Cuffietta e Calzine
– Busta con cognome e nome della mamma, contente un cambio completo da consegnare agli operatori al momento del parto.
 
 

La scelta di cuore di donare il cordone ombelicale

È possibile donare il sangue cordonale al termine del parto, dopo che il cordone ombelicale del bambino è stato reciso. Nei vasi cordonali rimane un po’ di sangue generalmente considerato prodotto di scarto. Questo sangue è invece ricco di cellule staminali che possono essere utilizzate per il trapianto di pazienti con leucemia o altre gravi malattie del sangue.
 
Se viene raccolto, la banca del sangue cordonale lo conserva per anni, restando a disposizione per le persone che necessitano di trapianto. Si può chiedere di donare volontariamente e gratuitamente il sangue cordonale. È una scelta libera, personale e volontaria, che non comporta rischi né per la donna né per il bambino.
 
Per farlo è sufficiente contattare l’associazione Abeo di Mantova e prendere appuntamento intorno alle 36/38 settimane di gravidanza per un colloquio e compilazione dei documenti con la biologa.
 
Poco tempo per fare una cosa grande.
 
 
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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