Il dolore silenzioso dell’endometriosi, la storia di Melissa

Il dolore silenzioso dell’endometriosi, la storia di Melissa

Questo è uno di quegli articoli in cui non voglio rubare parole e tempo alla storia a cui ho scelto di dare spazio.

Perché l’attenzione di chi c’è dall’altra parte dello schermo si riduce spesso dopo poco, e qui invece bisogna leggere fino in fondo.

Per capire, per conoscere, per riflettere.

Melissa Botti ha 33 anni e il 9 marzo le è stata diagnosticata l’endometriosi.

Melissa Botti endometriosi

Melissa Botti

Melissa mi ha contattata per condividere con me il difficile percorso che ha vissuto e sta affrontando ogni giorno. Mi ha domandato come avrebbe potuto contribuire ad accendere l’attenzione su questa subdola malattia ed essere di supporto e aiuto ad altre donne.

Quelle donne che, come lei, si sono sentite e si sentono sole e per alleviare la sofferenza ed alleggerire i pensieri cercano il confronto con chi sta attraversando la stessa strada in salita.

Così eccoci qua.

L’endometriosi raccontata da Melissa

Il mese del mio 33esimo compleanno mi è stata diagnosticata l’endometriosi.

Ma che cos’è? E’ una malattia di cui si parla ancora troppo poco, provocata dalla fuoriuscita di tessuto endometriale dalla sua sede naturale ovvero l’utero e, in alcuni casi e in base al grado raggiunto dalla malattia, va ad intaccare altri organi.

E’ una compagna di vita fastidiosa, dolorosa ma soprattutto subdola… Subdola perché per le caratteristiche dei suoi sintomi viene il più delle volte sottovalutata e diagnosticata con molti anni di ritardo.

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Racconto la mia storia perché mi piacerebbe essere di supporto a tante altre ragazze che si trovano nella mia stessa condizione… Sia prima che dopo la diagnosi.

Purtroppo al momento per l’endometriosi non c’è una cura, la ricerca è poca e la conoscenza della malattia da parte dei professionisti è altrettanto scarsa. creando così un problema enorme e un ritardo inaccettabile nella diagnosi.

“Sei donna, è normale se soffri”

È da quando ho 14 anni che soffro durante il ciclo mestruale (spesso anche nella fase pre ciclo), flussi molto abbondanti, forti dolori alla pancia e alla schiena, stanchezza cronica e più avanti negli anni sono iniziati anche i dolori pelvici durante i rapporti sessuali.

Mi è sempre stato detto che è normale. Normale perché sei donna. È normale stare male.

Beh, io vi dico di no, non è normale soffrire così, il fatto che siamo donne non implica necessariamente questa rassegnazione e predisposizione alla sofferenza.

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È da quando ho 16 anni che faccio visite ginecologiche a cadenza annuale e mai, mai e poi mai si è parlato di una possibile endometriosi.

Ho avuto cisti alle ovaie che ho curato ma non ho più avuto il coraggio di lamentarmi dei miei dolori dopo che appunto mi era stato risposto che era normale e che addirittura col tempo le cose sarebbero migliorate.

Queste risposte ti fanno sentire sbagliata, passi per quella “delicata” che si lamenta per un dolorino… “pensi di essere l’unica? C’è pieno di donne che soffrono per il ciclo… Dai, su! Non sei né la prima né l’ultima!”.

Il dolore fisico e psicologico

Gli anni passano e i miei dolori non migliorano, anzi, sono peggiorati.

Dolori da avere la nausea e non riuscire a mangiare, da voler andare al lavoro in pigiama o anzi, da non volerci andare proprio.

Non perché sei una fannullona pigra, ma perché non sai dove e come trovare le forze per affrontare una giornata tipo che prevede l’andare al lavoro e rapportarsi con colleghi e clienti, il mandare avanti una casa, occuparti del cane perché lo adori e merita il meglio e non sarai di certo tu con i tuoi dolori e il tuo malessere a fargli mancare i suoi giretti quotidiani e dare attenzioni al tuo compagno che non ha colpe per il tuo stato e cerca comunque di starti il più vicino possibile.

La pillola anticoncezionale

Anni di pillola anticoncezionale e tanta invidia nei confronti di chi mi diceva che con la pillola non si accorgeva neanche di avere il ciclo.

A me non è mai cambiato nulla, stavo male con e senza, neanche un minimo miglioramento anzi, mal di testa raddoppiato… Allora prova pillole di marche differenti… nulla, fino alla rassegnazione.

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Io però ho sempre sentito che qualcosa non andava… Ma a parte le cisti diagnosticate a 16 anni le visite ginecologiche non hanno mai mostrato nulla di anomalo, utero regolare, ovaie ok, le cisti che non si sono ripresentate… Insomma, tutto a posto. Quindi dai, se è tutto nella norma ti vuoi davvero lamentare dei dolori? Non sei credibile.

Quel post sull’endometriosi

Poi finalmente l’illuminazione… Da dove? Da Instagram! Incredibile per me che proprio super social non sono. Per fortuna esistono pagine come Freeda che affrontano apertamente tanti problemi e ti fanno sentire meno sola.

Perché è così che ci si sente… Sole…

L’endometriosi pare colpisca 1 donna su 10 quindi è molto probabile che nel gruppo di amiche si sia le sole a soffrirne, o magari qualcuno ci sarebbe tra colleghe e conoscenti ma sono argomenti di cui non si parla, sono cose delicate e personali che non tutti hanno piacere a raccontare.

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Come anticipavo Freeda ha pubblicato un post su questa malattia sottovalutata, poco conosciuta e cattiva di nome Endometriosi. Ho letto i sintomi, ascoltato qualche testimonianza e non mi sembrava vero… Corrispondeva tutto a come mi sentivo io da anni… Precisamente 18.

La presa di coscienza e di coraggio

Siamo a fine estate 2020 e finalmente mi decido a reagire.

Vado sul sito ufficiale italiano dell’endometriosi, mi documento ulteriormente e vedo che propongono un test con domande mirate il cui risultato viene spedito direttamente via email. Le risposte che ho dato hanno accumulato un punteggio e il mio rientrava nella categoria: “alta probabilità di endometriosi”.

Bene (più o meno). Prendo consapevolezza ma soprattutto coraggio…

Con questo risultato mi sento meno “lamentosa”, fisso la mia visita annuale di controllo dalla ginecologa (che non è la stessa che mi seguiva in giovane età) e le spiego apertamente come mi sento dicendole che, pur non essendo una che si cura su Google, sospetto di avere l’endometriosi.

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Lei conferma la mia idea e mi consiglia di fare una visita a Negrar, centro rinomato per la diagnosi e la cura di questa malattia. Prenoto la visita specialistica, primo posto disponibile 9 marzo 2021, tanto per rendere l’idea di quante siamo con questo problema.

La visita specialistica al centro di Negrar

In sala d’attesa provo un misto di ansia e stupidità, sì perché a forza di sentire sminuire i miei sintomi negli anni mi sono quasi convinta di essere esagerata e di essere andata lì per niente e a far perdere tempo a professionisti che hanno sicuramente altre persone da curare che hanno più bisogno di me.

La visita è stata breve ma dolorosa, in tutti i sensi.

La diagnosi

Non appena avuta la diagnosi mi sono sentita sollevata, quasi euforica per aver dato una causa e un nome al mio stare male e aver avuto la conferma di non essere pazza, poi si sono susseguiti stati d’animo differenti.

Mi sono sentita fortunata perché non sono in uno stadio troppo grave della malattia.

Ho un focolaio nella parte posteriore dell’utero che giustifica tra le altre cose il fortissimo mal di schiena e i dolori durante i rapporti sessuali ma per fortuna al momento non ha intaccato altri organi, visto che nel mio caso il primo ad essere colpito sarebbe l’intestino.

Le preoccupazioni sul futuro

Vista l’età e il desiderio di provare prima o poi ad avere figli mi è stata ordinata una cura che blocca il ciclo… All’inizio, stufa com’ero di soffrire, l’ho trovata una cosa fantastica, successivamente però ho iniziato a metabolizzare il tutto e a fare i conti con una menopausa forzata con le conseguenze fisiche e psicologiche che questo stato porta con sé.

In realtà questa non è una soluzione definitiva, anzi… Diciamo che serve a tenere sotto controllo la malattia almeno fino a che io non decida di provare a rimanere incinta.

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Dico provare perché endometriosi e sterilità sono in qualche modo collegate, da sola non comporta necessariamente questa condizione ma è stato comunque studiato e dimostrato che la sterilità è presente nel 30% delle donne affette da questa malattia e anche il fatto che vada ad intaccare varie zone dell’apparato riproduttivo non aiuta in tal senso.

Se fra 6 mesi la mia condizione non sarà migliorata bisognerà procedere con un’operazione in laparoscopia che però non è risolutiva quindi è meglio evitarla o rimandarla il più possibile.

L’inizio della cura

È un mese che ho iniziato la cura e non posso dire di stare bene, ho diversi effetti collaterali che però spero passino dopo i primi mesi di assestamento visto che comunque non ho altre alternative.

Questa malattia va assolutamente diagnosticata prima, non si può arrivare dopo i 30 anni, in un’età in cui una persona inizia a pensare alla possibilità di avere una gravidanza e si ritrova con tutti i piani scombussolati.

Non sono mai stata ossessionata dall’argomento maternità, ho sempre pensato che prima preferivo studiare, sistemarmi, fare le mie esperienze.

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Ho sempre pensato che, nonostante ci siano ancora molti stigmi sociali in merito, una donna può essere felice anche decidendo di non avere figli, non è obbligatorio, non si devono fare perché è giusto e la società vuole che una persona ad una certa età si sistemi sentimentalmente e metta su famiglia, ognuno ha il proprio percorso e trova gioia in cose diverse.

Tutto ciò lo penso tutt’ora ma penso anche che ci sia una grossa differenza tra il poter scegliere e il non avere scelta.

La poca informazione sull’endometriosi

A marzo si è tenuta la seconda Conferenza italiana sull’endometriosi… Sottolineo “seconda” perché questo ci fa capire a che punto siamo. Collegate insieme a me c’erano centinaia di donne con storie differenti ma tutte accomunate dagli stessi problemi: diagnosi in ritardo, dolori fisici e psicologici spesso dovuti a tante gravidanze non andate a buon fine, tutte donne inascoltate per anni.

Un appello ai medici

È necessario che molti professionisti del settore prendano sul serio questa malattia e i suoi sintomi perché le visite ginecologiche sono un momento fondamentale per la percezione del problema e se si ha la fortuna di incontrare un professionista aggiornato, preparato e sensibile all’argomento diventa tutto più facile e la diagnosi più rapida…

Ma incontrare un ginecologo che ti ricorda che è normale soffrire e minimizza non solo porta a ritardi nella diagnosi ma ad accumulare danni emotivi molto profondi.

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Fare informazione nelle scuole

Penso inoltre che sia indispensabile fare informazione, iniziando dalle scuole ad esempio, prima si prende consapevolezza meglio è. Bisogna educare le ragazze ma anche i ragazzi che potrebbero ritrovarsi ad avere relazioni, sentimentali o anche solo di amicizia, con donne malate.

Pensate com’è soffrire così e avere a fianco qualcuno che non ha la sensibilità e le conoscenze per capire, supportare, aiutare.

Sarebbe importante riuscire a cambiare la mentalità dei datori di lavoro e permettere a chi soffre di usufruire di permessi lavorativi ad hoc senza passare per lavoratrici poco produttive e con poca voglia di darsi da fare, aumentare i fondi destinati alla ricerca e perché no, rendere mutuabili questi farmaci che, a quanto pare, ci accompagneranno per molti anni.

Il messaggio per le altre donne inascoltate

Ragazze, se avete anche solo un minimo dubbio fate un controllo, ascoltatevi e fidatevi dei segnali che vi manda il vostro corpo. Mamme e Papà, ascoltate le vostre figlie e sostenetele, è meglio un controllo in più che rimanere anni nel dubbio e nel dolore.

A tutte le donne che soffrono di endometriosi vorrei dire che non sono sole, purtroppo siamo in tante ma possiamo fare rete, insieme siamo più forti e possiamo aiutarci scambiandoci opinioni e consigli, perché anche solo parlarne con qualcuno che capisce è terapeutico, fa sentire meglio e soprattutto, per favore, non vergognatevi!

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Il pensiero rivolto al futuro

Io continuo con la mia vita e i miei progetti… Certi giorni sono più difficili di altri e allora cerco la forza in tutto ciò che mi fa sentire comunque una persona fortunata, anche il solo pensiero di essere d’aiuto a qualcun altro mi fa stare meglio, è come se mi aiutasse a dare un senso alla mia diagnosi.

A me sarebbe servito e piaciuto molto leggere qualche testimonianza in tutti gli anni di dubbi e dolori quindi spero in qualche modo di potervi essere stata utile e non mi fermerò, cercherò di portare avanti questo mio tentativo di informazione e sensibilizzazione sul tema.

Ringrazio Melissa Bottoli per il prezioso contributo a questo articolo.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Poter conciliare lavoro precario (e non) e maternità? È più facile vincere al Superenalotto

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“I giovani, oggi, non fanno più figli”.

Quante volte avete sentito ripetere questa frase? Probabilmente, come me, tante.

Bene, arrivata al traguardo dei miei nove mesi di gravidanza posso dire con certezza che io, quelli che non fanno figli, li capisco benissimo.

Siamo nel 2019, il precariato la fa da padrone e per una donna, conciliare il legittimo desiderio di avere una carriera con quello di una famiglia, è ancora spesso un miraggio.

Non tornerei mai indietro nella scelta fatta, ma se qualcuno mi avesse detto che avrei incontrato un numero imprecisato di ostacoli, che nemmeno alle corse dei cavalli, e una buona dose di porte chiuse nel mondo del lavoro, che in confronto quelle della fabbrica di Monsters & Co. sono pochine, mi sarei quanto meno armata di scudo ed elmetto, o avrei fatto un lungo lunghissimo corso di preparazione zen.

Vabbè, non sarebbe bastato.

La verità è che se rimani incinta e hai dei contratti a tempo determinato ed in scadenza, sei fregata. Se ne hai uno apparentemente solido a tempo indeterminato, potresti essere fregata lo stesso e ritrovarti magicamente spostata di ufficio, settore, realtà, pianeta, galassia.

Non importa da quanti anni lavori, non importano i tuoi titoli di studio, le esperienze, le competenze e la professionalità. La maggior parte dei datori di lavoro troverà molto ghiotta l’occasione per poterti non rinnovare quella minima garanzia che ti permetterebbe di non farti domande del tipo “Ok, e adesso come darò da mangiare alla creatura? Non è ancora nata e sono già una pessima madre senza più prospettive di carriera”.

Del resto, a quante è capitato di sentirsi chiedere durante un colloquio di lavoro se ci fosse stata l’intenzione futura di avere dei figli?

È un attimo passare dal momento in cui annunci di essere incinta, ovvero quando l’esserino inizia a prendersi i suoi spazi con lievitazione del tuo giro vita, all’apertura della sagra dei “Eh adesso che hai questo problema – ci mancherebbe che mettere al mondo un mini umano non fosse un problema – non è che possiamo rinnovarti il contratto, rimarremmo scoperti troppi mesi e chissà quando poi finirai la maternità”. Al “Guarda a questo punto pensiamo di prendere degli stagisti al posto tuo, che comunque sai costano meno”.

Un’altra categoria è formata da quelli che “Il tuo contratto non verrà rinnovato per ora, ma se ti rendi disponibile per i prossimi mesi – nemmeno a precisarlo, gratis – appena finisci la maternità vediamo poi, forse, che fare”.

Ci sono quelli che non hanno proprio il coraggio di dirti la verità in faccia, i peggiori, e ti tengono in sospeso con “Stiamo valutando la situazione, pensiamo di fare delle scelte diverse e prendere qualcun altro ma per vari motivi, cioè non pensare di essere tu il problema”.

Infine gli altruisti: “È un bene per te non avere il pensiero di dover tornare al lavoro tra qualche mese, così ti godi la gravidanza e la piccola quando nasce”.

Caspita, grazie! Ed io che credevo di dover continuare a procurarmi uno stipendio per poterla mantenere. Menomale che mi hai fatto questo favore.

E altri complimenti del genere, che ti fanno proprio ringraziare il cielo di essere donna, under 30, incinta, e di aver fatto straordinari e sacrifici.

Così tra gli sbalzi ormonali e umorali, gli enormi cambiamenti con cui già devi fare i conti giorno per giorno e la totale incertezza verso il futuro ti trovi a dispiacerti del fatto che tua figlia sia femmina e che forse un giorno avrà lo stesso trattamento.

Provi però a ripeterti che magari non è l’intero mondo così, che hai trovato tu alcuni capi sbagliati. (Anche se non tutti, sia chiaro). Invece no.

Durante le visite mediche riservate in massa alle donne in gravidanza, per capirci quelle occasioni in cui ci sono altre decine di pance, ho conosciuto ragazze con una situazione che le mie esperienze negative in confronto sono state una puntata di Zelig ai tempi in cui faceva ridere.

Sarà per deformazione professionale, perché il giornalismo ti porta ad incuriosirti, appassionarti alle storie e soprattutto ascoltarle, che ho raccolto fin troppe testimonianze.

C’è stata Alice, anche lei di Mantova, anche lei di 29 anni, che mi ha raccontato di essere stata costretta a dare le dimissioni da una scuola in cui lavorava, a causa delle pressioni subite dopo aver comunicato di aspettare un bimbo.

C’è stata Sara, poco più grande, che ha ricevuto una mail dall’ufficio personale della sua azienda in cui le veniva notificato che al rientro al lavoro si sarebbe trovata in un’altra area, a svolgere tutt’altra mansione.

Ci sono state Francesca ed Ilaria, che nulla hanno potuto fare se non constatare che i contratti a tempo determinato non sarebbero più stati rinnovati con una calorosa pacca sulla spalla.

C’è stata Arianna, con un altro figlio piccolo a casa, obbligata a rimanere al lavoro fino al nono mese, visto che ora la legge lo consente, per paura di essere altrimenti licenziata.

C’è stata anche Angelica, che da libera professionista ha visto una certa quantità di clienti di città e provincia scomparire alla velocità di un Boeing X-43A.

Come loro, tante altre. Troppe, appunto. Da scriverci un libro nero.

Ogni storia terminava con una frase: “Tanto funziona così, inutile parlarne o lamentarsi”.

Mi si è accesa una certa rabbia, mista a delusione e frustrazione. Il mix di ingredienti per la perfetta pietanza indigesta.

Sì, evidentemente in diversi ambienti lavorativi funziona così. È però davvero inutile parlarne?

Sono convinta che far sentire la propria voce sia sempre la scelta giusta, e se anche una sola persona rifletterà su tutto questo non sarà certo stato fiato sprecato.

La strada per riuscire a far valere i propri diritti ed andare verso una giusta conciliazione tra lavoro e famiglia è una salita che sicuramente ha nulla da invidiare quanto a ripidità rispetto alle scalate di Messner, ma ogni traguardo si raggiunge facendo un primo piccolo passo.

Non sentirsi sole e tendersi la mano a vicenda è già un salto in avanti.

Prima di dire “I giovani, oggi, non fanno più figli”, bisognerebbe chiedersi “Cosa si può fare per permettere ai giovani, oggi, di sentirsi tutelati ad avere dei figli?”.

Una domanda che dovrebbero porsi soprattutto i politici, e chiunque rivesta posizioni di comando, le persone che potrebbero cambiare la rotta.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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