“Elena perché non scrivi che la maternità qui in Italia funziona uno schifo e non tutela affatto le donne che lavorano?”
 
“Mi piacerebbe avere un altro figlio, ma sono passati solo due anni dal primo e mi sa che se resto di nuovo incinta in qualche modo mi licenziano”.
 
I pensieri di due amiche credo siano gli stessi di tante tantissime altre mamme ed anche di non mamme.
 
 
Tengo subito a precisare che, come sempre, ciò che scrivo non può essere e non ha la pretesa di essere condiviso da tutti. Cerco di racchiudere in una modesta manciata di parole le esperienze della maggior parte delle persone con cui mi trovo a confrontarmi, a chiacchierare, ad aiutare nel mio piccolo e per quanto riesco a fare.
 
Lo voglio ricordare: sono convinta che le reti di aiuto siano un’arma potentissima per combattere le emozioni negative e per moltiplicare quelle positive.
 

La maternità in Italia

 
In estrema sintesi (rimando per completezza al sito del girone infernale nominato Inps dove la questione è approfonditamente spiegata in lingua aliena). Nelle situazioni ordinarie in cui mamma e bimbo sono in salute per tutta la gravidanza, la mamma può astenersi dal lavoro due mesi prima della data presunta del parto e avrà un bonus fedeltà per l’astensione di altri tre mesi dopo il parto.
 
In alternativa, grazie alla super recente riforma per andare moltissimo incontro alle donne che lavorano, la mamma può continuare a lavorare più o meno finché non sentirà il primo vagito del bambino, segno della nascita, stando comodamente in ufficio. Come premio potrà allora usufruire di cinque mesi di astensione dopo il parto.
 
Poco importa che le ultime settimane di gravidanza siano una costellazione di notti in bianco, di corse a cercare un bagno per fare pipì ogni ottodieci minuti, di sbalzi d’umore, di paure ed ansie, di affanno nel salire le scale, di esami, di fragilità emotiva e fisica.
 
Per chi non ci aveva mai pensato ebbene sì, un pancione che contiene un mini umano in costante crescita non è un dettaglio completamente trascurabile per quelle che se lo portano in giro e per chi sta loro accanto.
 
Esiste poi il congedo facoltativo. La bacchetta magica che consente di proseguire l’astensione dal lavoro dopo i tre mesi della creatura, per altri sei.
C’è forse una fregatura? Certamente.
Lo stipendio della mamma viene altrettanto magicamente assottigliato fino al trenta percento. Con la stessa delicatezza di un Alohomora lanciato da Hermione già nel primo Harry Potter per aprire una serratura. Un vero incantesimo.
Del resto non ci sono spese per mantenere un nuovo componente della famiglia. Sciocco chi lo pensa. Anzi, quasi quasi si risparmia quindi mica serve lo stipendio pieno.
 
Come dici? Tu che leggi sei una libera professionista e non hai nemmeno questa possibilità perché ad un certo punto se non lavori non guadagni? Ah beh, un po’ te lo sei cercata, lo Stato non può tutelare tutte tutte le categorie.
 
Colpa delle donne che vogliono essere madri e pure proseguire nel portare avanti la carriera.
E poi appunto si tratta di una scelta facoltativa, cioè fatti tuoi.
 
Per banalizzare la faccenda, un neonato di tre mesi viene quindi considerato praticamente autonomo e non bisognoso della mamma. Nella foto dell’anteprima potete vedere i piedi di mia figlia di tre mesi. Misurano sette centimetri e mezzo e lei non sa nemmeno ancora quasi di averli e a che cosa servano. Però attenzione: le manine le ha già scoperte settimane fa, quindi in effetti perché mi preoccupo tanto.
Tra l’altro ora c’è nell’aria questa nuova proposta. Il Governo sta studiando la possibilità di estendere il congedo obbligatorio per la nascita da cinque a sei mesi totali prevedendo che il papà ne utilizzi il 20%. Un mese.
 
Caspita! Grazie!
 
 
 
 
In Italia siamo ancora distanti quanto la Terra e Plutone dall’avere una riforma che tuteli, incoraggi e protegga – perché sì, c’è bisogno di protezione – le donne mamme con un’occupazione, che impedisca ai datori di lavoro di approfittarsene e che renda la società un luogo accogliente per i nuovi nati.
Una vera politica di conciliazione lavoro-famiglia ancora non esiste.
 

I bambini hanno bisogno della mamma

 
Non è una frase di comodo, non è una banalità, non è una leggenda.
Il corpo di una donna impiega nove mesi per creare un mini umano, mentre si pretende che tre mesi, cinque mesi, sei mesi di vita, siano sufficienti a rendere un bambino autonomo e non più estremamente dipendente dalla mamma o dalla sua figura genitoriale di riferimento.
Un bambino come ogni cucciolo per crescere, ha bisogno di una mamma fisicamente e mentalmente presente, il più possibile serena e tranquilla.
Non di una mamma preoccupata, in ansia.
Le preoccupazioni e le ansie sono già parte di lei dal momento in cui sa di essere incinta, aumentano fino al parto, per non parlare dell’istante in cui torna a casa con la creaturina.
E questo nelle situazioni ordinarie in cui non ci sono complicazioni.
 
Un bambino ha bisogno di contatto, di sorrisi, di cure, di attenzioni. Ha bisogno di farsi conoscere e capire, di avere fiducia.
Un bambino ha bisogno di presenza fisica costante, di sguardi, di baci, di coccole, di essere cullato, di sentire canzoncine e parole dolci. A tre mesi mangia ancora ogni tre ore e chi può allatta. Chi non può prepara biberon. Per farsi capire piange e in alcuni giorni piange spesso, perché questo è il suo modo di comunicare. Chi può capirlo e consolarlo è la mamma.
Anche la mamma ha bisogno del suo bambino (ma anche di ricominciare a volte a dormire, a mangiare regolarmente, a capire come gira di nuovo il mondo). Lei nasce insieme a lui.
 
Crescere al meglio un bambino ponendo delle basi solide per l’adulto che diventerà e tutelare una mamma non è una cosa superflua, non è un di più. È un investimento sul futuro della società in cui viviamo. Una mamma ed un bambino il più possibile felici, tranquilli, sereni, saranno in futuro una spesa minore per la collettività ed una risorsa maggiore.
 
Il costante aumento di neo mamme costrette a dimettersi dovrebbe far riflettere.
 
 
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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