“I giovani, oggi, non fanno più figli”.

Quante volte avete sentito ripetere questa frase? Probabilmente, come me, tante.

Bene, arrivata al traguardo dei miei nove mesi di gravidanza posso dire con certezza che io, quelli che non fanno figli, li capisco benissimo.

Siamo nel 2019, il precariato la fa da padrone e per una donna, conciliare il legittimo desiderio di avere una carriera con quello di una famiglia, è ancora spesso un miraggio.

Non tornerei mai indietro nella scelta fatta, ma se qualcuno mi avesse detto che avrei incontrato un numero imprecisato di ostacoli, che nemmeno alle corse dei cavalli, e una buona dose di porte chiuse nel mondo del lavoro, che in confronto quelle della fabbrica di Monsters & Co. sono pochine, mi sarei quanto meno armata di scudo ed elmetto, o avrei fatto un lungo lunghissimo corso di preparazione zen.

Vabbè, non sarebbe bastato.

La verità è che se rimani incinta e hai dei contratti a tempo determinato ed in scadenza, sei fregata. Se ne hai uno apparentemente solido a tempo indeterminato, potresti essere fregata lo stesso e ritrovarti magicamente spostata di ufficio, settore, realtà, pianeta, galassia.

Non importa da quanti anni lavori, non importano i tuoi titoli di studio, le esperienze, le competenze e la professionalità. La maggior parte dei datori di lavoro troverà molto ghiotta l’occasione per poterti non rinnovare quella minima garanzia che ti permetterebbe di non farti domande del tipo “Ok, e adesso come darò da mangiare alla creatura? Non è ancora nata e sono già una pessima madre senza più prospettive di carriera”.

Del resto, a quante è capitato di sentirsi chiedere durante un colloquio di lavoro se ci fosse stata l’intenzione futura di avere dei figli?

È un attimo passare dal momento in cui annunci di essere incinta, ovvero quando l’esserino inizia a prendersi i suoi spazi con lievitazione del tuo giro vita, all’apertura della sagra dei “Eh adesso che hai questo problema – ci mancherebbe che mettere al mondo un mini umano non fosse un problema – non è che possiamo rinnovarti il contratto, rimarremmo scoperti troppi mesi e chissà quando poi finirai la maternità”. Al “Guarda a questo punto pensiamo di prendere degli stagisti al posto tuo, che comunque sai costano meno”.

Un’altra categoria è formata da quelli che “Il tuo contratto non verrà rinnovato per ora, ma se ti rendi disponibile per i prossimi mesi – nemmeno a precisarlo, gratis – appena finisci la maternità vediamo poi, forse, che fare”.

Ci sono quelli che non hanno proprio il coraggio di dirti la verità in faccia, i peggiori, e ti tengono in sospeso con “Stiamo valutando la situazione, pensiamo di fare delle scelte diverse e prendere qualcun altro ma per vari motivi, cioè non pensare di essere tu il problema”.

Infine gli altruisti: “È un bene per te non avere il pensiero di dover tornare al lavoro tra qualche mese, così ti godi la gravidanza e la piccola quando nasce”.

Caspita, grazie! Ed io che credevo di dover continuare a procurarmi uno stipendio per poterla mantenere. Menomale che mi hai fatto questo favore.

E altri complimenti del genere, che ti fanno proprio ringraziare il cielo di essere donna, under 30, incinta, e di aver fatto straordinari e sacrifici.

Così tra gli sbalzi ormonali e umorali, gli enormi cambiamenti con cui già devi fare i conti giorno per giorno e la totale incertezza verso il futuro ti trovi a dispiacerti del fatto che tua figlia sia femmina e che forse un giorno avrà lo stesso trattamento.

Provi però a ripeterti che magari non è l’intero mondo così, che hai trovato tu alcuni capi sbagliati. (Anche se non tutti, sia chiaro). Invece no.

Durante le visite mediche riservate in massa alle donne in gravidanza, per capirci quelle occasioni in cui ci sono altre decine di pance, ho conosciuto ragazze con una situazione che le mie esperienze negative in confronto sono state una puntata di Zelig ai tempi in cui faceva ridere.

Sarà per deformazione professionale, perché il giornalismo ti porta ad incuriosirti, appassionarti alle storie e soprattutto ascoltarle, che ho raccolto fin troppe testimonianze.

C’è stata Alice, anche lei di Mantova, anche lei di 29 anni, che mi ha raccontato di essere stata costretta a dare le dimissioni da una scuola in cui lavorava, a causa delle pressioni subite dopo aver comunicato di aspettare un bimbo.

C’è stata Sara, poco più grande, che ha ricevuto una mail dall’ufficio personale della sua azienda in cui le veniva notificato che al rientro al lavoro si sarebbe trovata in un’altra area, a svolgere tutt’altra mansione.

Ci sono state Francesca ed Ilaria, che nulla hanno potuto fare se non constatare che i contratti a tempo determinato non sarebbero più stati rinnovati con una calorosa pacca sulla spalla.

C’è stata Arianna, con un altro figlio piccolo a casa, obbligata a rimanere al lavoro fino al nono mese, visto che ora la legge lo consente, per paura di essere altrimenti licenziata.

C’è stata anche Angelica, che da libera professionista ha visto una certa quantità di clienti di città e provincia scomparire alla velocità di un Boeing X-43A.

Come loro, tante altre. Troppe, appunto. Da scriverci un libro nero.

Ogni storia terminava con una frase: “Tanto funziona così, inutile parlarne o lamentarsi”.

Mi si è accesa una certa rabbia, mista a delusione e frustrazione. Il mix di ingredienti per la perfetta pietanza indigesta.

Sì, evidentemente in diversi ambienti lavorativi funziona così. È però davvero inutile parlarne?

Sono convinta che far sentire la propria voce sia sempre la scelta giusta, e se anche una sola persona rifletterà su tutto questo non sarà certo stato fiato sprecato.

La strada per riuscire a far valere i propri diritti ed andare verso una giusta conciliazione tra lavoro e famiglia è una salita che sicuramente ha nulla da invidiare quanto a ripidità rispetto alle scalate di Messner, ma ogni traguardo si raggiunge facendo un primo piccolo passo.

Non sentirsi sole e tendersi la mano a vicenda è già un salto in avanti.

Prima di dire “I giovani, oggi, non fanno più figli”, bisognerebbe chiedersi “Cosa si può fare per permettere ai giovani, oggi, di sentirsi tutelati ad avere dei figli?”.

Una domanda che dovrebbero porsi soprattutto i politici, e chiunque rivesta posizioni di comando, le persone che potrebbero cambiare la rotta.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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